Con Il Nao di Brown, BAO Publishing conferma la propria poliedricità in fatto di pubblicazioni, portando in Italia quest’opera dal sapore puramente introspettivo che propone una visione del mondo del tutto particolare attraverso le parole di Nao Brown, una ragazza britannica di madre giapponese vittima di numerose incertezze in ogni ambito della sua vita, dal lavoro all’amore, in parte derivanti anche dal suo appartenere a due culture contemporaneamente.
Autore dell’opera è Glyn Dillon, che ha impugnato sia la penna che le matite dietro ad essa dando forma totalmente a quelle che sono ad un tempo le vicissitudini e le riflessioni della protagonista, la quale è dotata di una verve che ricorda molto il piacere di raccontare storie onde affrontare la vita di Parwana, la giovane protagonista del romanzo The Breadwinner (da noi conosciuto meglio con i due titoli I racconti di Parwana o Sotto il burqa), e la voce della memoria nel Zerocalcare più recente.
Tale similitudine è rappresentata dalla storia di Pictor, ricca di analogie di trama con l’archetipo fiabesco noto come La bella e la bestia che fa da intervallo tra una vicenda e l’altra che in qualche modo hanno attinenza con ciò che Nao esperisce.
Il Nao di Brown, tra introspezione, spiritualità e slice of life
Come già anticipato, Il Nao di Brown ruota completamente intorno a Nao e alle sue esperienze e conoscenze. Nata nel Regno Unito, residente a Londra ma da sempre a contatto con la sua metà giapponese attraverso la passione per l’oggettistica proveniente dal Sol Levante e la sua professione di illustratrice, la cui volatilità dovuta alla di essa natura freelance contribuisce in negativo alle sue ansie, numerose e spesso manifeste in immaginari scatti d’ira in cui vede sé stessa assassinare il prossimo, chiunque egli o ella sia.
Tale legame con la sua seconda patria è ulteriormente rafforzato dal suo frequentare un centro di meditazione buddhista, che tuttavia, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da una dottrina che pone il Risveglio come distacco ed equilibrio tra il bene e il male, acuisce il suo senso di inadeguatezza, mitigato solo dal proprio cercare nelle persone che le stanno intorno, a partire proprio dalla madre, l’approvazione più totale, alla quale conferisce una volta ogni dieci o quindici pagine di vignette dei voti da uno a dieci.
Due svolte importanti fanno da sfondo agli avvenimenti raccontati nel fumetto: da una parte il lavoro offertole dall’amico di vecchia data e compagno di studi artistici Steve, consistente nel fare da commessa per il suo negozio di oggettistica geek e kidult, mansione che in parte collima con le sue suddette aspirazioni artistiche; dall’altra l’incontro e la successiva relazione con Gregory, un energumeno dalla smodata passione per l’alcool e dalla parlantina facile che condivide con la giovane una composita visione filosofica della realtà e che la colpisce per la propria somiglianza con una bambola daruma giapponese.
I pochi attimi di felicità che Nao raggiunge grazie a questi avvenimenti, tuttavia, portano con sé l’ombra delle già più volte ricordate insicurezze, che sembrano ancor di più peggiorare fino a raggiungere lo status di complessi veri e propri rasentanti disturbi ossessivo-compulsivi.
Una per tutti e tutte
L’interiorità di Nao, pur venendo presentata come molto personale, potrebbe invero considerarsi un affresco di quest’epoca di cambiamenti, quasi un’anticipazione decennale degli sconvolgimenti provocati negli animi umani dalla pandemia di Covid-19 tutt’ora in corso (la pubblicazione originale de Il Nao di Brown risale infatti al 2013).
In questo senso, le insicurezze di Nao e i disagi psicologici da esse conseguenti potrebbero essere un’estremizzazione di quelle provate da chiunque, in maniera acuta o lieve che sia.
Il tutto è tracciato attraverso tratti e colori molto leggeri, con un’aggressività dei toni caldi circoscritta ai momenti di follia di Nao, dove anche il tratto sembra appesantirsi.
All’intreccio principale, dotato della caraterizzazione stilistica appena descritta, Dillon alterna degli omaggi all’arte giapponese e tibetana, rappresentati da illustrazioni ispirate l’una alle stampe ukiyo-e del periodo Tokugawa (XVII-XIX secolo della nostra era), l’altra ai thangka buddhisti tipici dell’arte sacra del Tetto del mondo. Con queste tavole l’autore dà prova non solo di poliedricità grafica, ma anche di spiccata sensibilità culturale.
Un altro momento di pesantezza sia nel tratto che nel colore si testimonia nei brevi interludi dedicati alla storia di Pictor, dove i balloon scompaiono per venire sostituiti da lunghe didascalie puramente narrative che danno voce ai personaggi senza volto presentati in questa narrazione collaterale.
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