The Hobbit – There and Back Again, da noi noto come “Andata e Ritorno – un racconto hobbit di Bilbo Baggins” è il prologo del successivo ciclo narrativo del Signore degli Anelli. Pubblicato per la prima volta nel 1937, il romanzo ottenne ben 52 anni dopo un adattamento a fumetti, pubblicato per la prima volta dalla Unwin Hyman Limited.
L’adattamento del romanzo è stato curato da Charles Dixon e Sean Deming, mentre la versione italiana di Lo Hobbit cui ci occuperemo è stata tradotta da Caterina Ciuferri.
Ti rimandiamo con l’occasione ad altre recensioni “profane” della nostra redazione, che esulano dal mondo anime:
Lo Hobbit (a fumetti), storia già nota
“In una caverna sotterranea viveva un hobbit”. Non uno ma lo hobbit. Il primo individuo a portare questa connotazione è Bilbo Baggins, figlio di Belladonna Took e considerato dalla sua comunità una persona del tutto rispettabile. Ossia amante della quiete, abitudinario e in sintesi…quasi noioso.
Bilbo non ama gli imprevisti, ma in un normale giorno di ozio si presenta da lui Gandalf, lo stregone vagabondo, con una proposta che il piccolo uomo può solo rifiutare: partire per un’avventura. Nonostante la risposta che riceve sia un “no!” cortese ma immediato, lo stregone ha già deciso per lui: di nascosto incide una runa sulla porta di Bilbo, con un significato che si rivela il pomeriggio seguente.
Il campanello di Bilbo suona una, poi due, poi tre rintocchi. Due alla volta, la casa di Bilbo si riempie di personaggi che riconosciamo come nani, in vena di fare baldoria. E se da un lato lo hobbit non vuole apparire scortese, vorrebbe una spiegazione a quella brigata.
I nani cercano uno “scassinatore”, un abile ladro insomma, e il simbolo sulla sua porta pare identificare Bilbo come la persona che stanno cercando. Inizia così il viaggio del piccolo uomo, fra fughe dagli orchi, foreste invase dai ragni, dimore degli elfi…e il famigerato Smaug.
Nonostante la vicenda sia incentrata sulla riconquista del tesoro dei nani, guidati da Thorin Scudodiquercia, è in questo racconto che compare l’unico anello, in quello che è quasi un cameo dato che viene preso per errore da Bilbo mentre sfugge da Gollum. Ma anche sarà il fulcro di tutta una saga…per ora è solo il giocattolino magico dello scassinatore.
Atmosfera e stile
I disegni di David Wenzel hanno tinte lievi e sembrano ricalcare nelle scene al chiuso quello che è lo stile delle miniature dei testi antichi, come a dare alle vignette la parvenza di essere appena state ritrovate in una biblioteca medievale. In particolare nella visita a Granburrone la resa delle pergamene sia per colori che per disegno è molto realistica.
La prime pagine però sono il vero capolavoro: qui Wenzel mostra l’integrità di due documenti che compariranno più avanti nella storia, rendendoli in più prospettive e far immedesimare il lettore.
Passando ai personaggi, chi ha visto i film tratti da Lo Hobbit rischia una delusione: i disegni sono molto fedeli ai nani “classici”, molto meno attraenti e giovanili degli interpreti della versione cinematografica. Questo però li rende solo più simpatici oltre alle scene “leggere” in cui sono protagonisti: in fondo, l’opera inizialmente era stata creata per i bambini.
Lo Hobbit, perché a fumetti?
La domanda sorge spontanea: sarà efficace rendere un romanzo di Tolkien in una serie di vignette? Per Lo Hobbit pare che la strategia funzioni eccome. Una pecca di tutti gli scrittori fantasy, anche i più abili, sono i passaggi descrittivi: occorrono dettagli per far immaginare al lettore luoghi e creature che non esistono, ma cadere nella pedanteria è inevitabile ogni tanto.
Lo stile del fumetto, se svolto con maestria, consente di saltare a piè pari il rischio. Oltretutto la dinamica e l’uso delle onomatopee possono coinvolgere di più il lettore. Certo, una riduzione della portata vicenda è il prezzo da pagare.