Dopo Cronache delle guerre demoniache, un’esauriente raccolta delle opere di Nagai Gō lontane dai suoi famosi mecha, J-Pop propone Ruggito e Altre storie, un altro volume antologico stavolta dedicato a Itō Junji, maestro del fumetto horror giapponese, inquadrato nella Junji Ito Collection che raggiunge così quota otto pubblicazioni.
Si tratta di un’opera considerevolmente più spessa del primo nominato. Consta infatti di oltre quattrocento pagine a fumetti, per un totale di tredici storie autoconclusive e non (ve ne sono infatti alcune che risultano collegate tra di loro). Malgrado la mole, ogni singolo racconto è scorrevole e diretto, tanto è vero che l’intera opera si può leggere per intero nell’arco di un pomeriggio ed è passibile di almeno una rilettura, complice il tratto naturale ma al tempo stesso visionario dell’artista.
Andiamo ad esplorare più nel dettaglio Ruggito e Altre storie!
Ruggito e Altre storie, l’orrore negli occhi e nelle mani di un maestro
La prima storia presentata è Tenebre assetate di sangue, nella quale è ben evidente l’apporto di elementi leggendari non autoctoni della cultura giapponese, a cominciare dalle storie di vampiri che si sono codificate in Europa a partire da circa un secolo e mezzo fa, quando Bram Stoker scriveva Dracula (1897) e Friedrich Wilhelm Murnau su di esso si basava per dare vita al suo Nosferatu (1922), non snaturando tuttavia la concentrazione sull’ignoto che caratterizza l’horror asiatico.
Il secondo racconto, Gli spiriti del prime time, si sposta invece verso le storie di fantasmi, che la cultura giapponese concepisce come entità invisibili ma non incorporee, quindi in grado di interagire con chi è ancora in vita, complice la natura animista della spiritualità giapponese (definire lo shintō come una religione è abbastanza improprio per tutta una serie di motivi).
Segue Ruggito, la storia che dà il nome all’intera raccolta. L’eponimia non sembra casuale, dato che si tratta probabilmente del più intimo e paradossalmente più realistico tra i racconti qui elencati. Attraverso una sfortunata escursione di due ragazzi, Itō Junji riflette allegoricamente sull’incapacità da parte delle persone di accettare la perdita di una persona amata, specie in seguito ad una tragedia.
Gli incatenati alla terra è anch’essa una storia dai risvolti introspettivi e dalle caratteristiche allegorica. Stavolta la tematica trattata è il senso di impotenza davanti al passato immutabile che ciascuno di noi possiede, fatto giocoforza di buone e cattive azioni ad un tempo.
Il condannato a morte suona alla porta chiude questo breve ciclo di racconti introspettivi presentando una vicenda che fa entrare in scena l’insanabile dicotomia tra rancore e perdono attraverso le tragiche esperienze di una famiglia andata incontro ad un triste sfacelo.
A metà dell’opera c’è un trittico di storie di puro orrore e follia. Si tratta de Il mistero della casa degli orrori, Il fronte di Soichi e L’animaletto di Soichi, legate dal filo conduttore rappresentato per l’appunto da Soichi, un personaggio dall’aria sardonica e dall’aspetto inquietante caratterizzato dall’abitudine di tenere in bocca una manciata di chiodi. Nel corso dei tre racconti saremo testimoni delle sue pazzie, nelle quali finirà per coinvolgere non solo la gente che gli sta intorno, ma anche la propria famiglia.
Con Nella valle degli specchi le storie ritornano autoconclusive rimanendo sull’orrore tout court, stavolta con un tocco di romance in un racconto di rivalità tra villaggi vicini che ha nei propri risvolti una vena arririttura shakespeariana.
Non voglio diventare un fantasma torna per l’appunto a parlare di fantasmi, ma questa volta in maniera molto più gore, ribadendo la corporeità degli spiriti e la loro capacità di interagire col mondo fisico.
Allucinazioni in biblioteca, per le tematiche relative all’attaccamento ossessivo, rappresentato in questo caso dall’ereditiere di un’immensa biblioteca visceralmente legato agli innumerevoli volumi in essa contenuti, e per l’organizzazione e i risvolti di trama, le opere di Edgar Allan Poe, spesso popolate di personaggi dall’ego smisurato e ricolmo delle più bizzarre fissazioni.
L’appassionato canto delle tenebre è anch’esso legato alle ossessioni, o meglio all’ossessività, stavolta rappresentata da un motivo musicale di cui, una volta impresso nella mente, è impossibile liberarsi.
Chiude la raccolta Terrore schiacciante, dove l’oggetto delle ossessioni (ancora una volta) dei protagonisti è un nettare esotico particolarmente squisito, l’assaggio del quale, tuttavia, comporta un grosso rischio.
Uno sguardo basta a terrorizzare
Accanto alla sua carriera di mangaka, il sensei Itō Junji affianca il mestiere di sceneggiatore per gli adattamenti filmici o videoludici delle sue opere. Da ciascuna di esse, e quelle contenute in Ruggito e Altre storie traspare un elemento a cui l’autore dà particolare rilievo: gli occhi.
Nella maggior parte dei momenti topici delle opere di Itō lo sguardo dei personaggi fa reiteratamente da protagonista. Più il soggetto è inumano o comunque preda di momenti di follia, maggiore è l’attenzione rivolta ai suoi occhi, che dominano sul resto dell’espressione del viso.
Nel tratto il maestro risulta pesantemente influenzato da un lato dall’iconografia tradizionale giapponese, la quale vuole spesso i personaggi di indole malvagia o ingannevole ritratti con un anche appena accennato sorriso sardonico (vedansi le volpi antropomorfizzate di Takahata Isao nel suo Pom Poko del 1994). Da un altro dai pittori occidentali del primo novecento.
Un esempio su tutti di queste influenze straniere è la diabolica moglie del sopracitato Soichi, la quale ha nei lineamenti del volto e dello sguardo delle tipicità di ascendenza avanguardista, con riferimento particolare ad Amedeo Modigliani e, in misura molto minore, a Pablo Picasso.
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