L’inganno di Freya è l’ultima creatura della mangaka Ishihara Keiko, già nota al grande pubblico per altre quattro saghe manga realizzate nel giro di poco più di un lustro.
Magic Press ci ha consegnato quest’opera a metà tra il fantasy e lo shōjo comparsa tra le novità di Gennaio con relativo ritardo. Il suo esordio in patria è infatti datato 2017, e rappresenta la prima opera dell’autrice localizzata in lingua italiana.
Un plauso iniziale va proprio a chi si è occupato di quest’ultima operazione, il traduttore Roberto Pesci, che ha compiuto un ottimo lavoro fin dalla scelta del titolo, evitando di tradurre Itsuwari no Freya (nome originale del manga) in linea con quel Artificial Freya che ne è la traduzione anglosassone, traducendo quell”itsuwari‘ con l’alternativo e in lingua italiana più efficace ‘inganno‘, un’inganno di cui, come vedrai, la protagonista Freya dovrà rendersi proprio malgrado protagonista.
L’inganno di Freya, una guerra e un destino beffardo
La narrazione de L’inganno di Freya si apre ben delineando il setting: un mondo fantasy ispirato al Medioevo europeo, in particolar modo ai popoli del nord del Vecchio Continente, come dimostrano i nomi dei due regni in guerra al centro delle vicende, che condividono rispettivamente con un eroe e un dio entrambi norreni: Sigurd e Tyr.
Laddove il primo è un potente Stato dalla politica estera aggressiva ed espansionistica, il secondo è un piccolo regno suscettibile di essere assoggettato in qualsiasi momento.
Onde mantenere la flebile tregua che si frappone tra la pace e lo sterminio, Tyr è costretto a subire continue imposizioni che includono anche la cessione di territori. L’ultimo in procinto di essere inglobato nei confini del potente Sigurd è il piccolo villaggio di Tena, dove vive la giovane Freya, una ragazza dal carattere dolce e dalle lacrime facili che passa le giornate a prendersi cura della cagionevole madre Skadi.
Benvoluta da tutti i suoi compaesani, i suoi prediletti sono i fratelli adottivi Aaron e Alexis, entrambi membri dell’esercito di Tyr. Tra i due, Aaron ha l’onore e l’onere di essere una leggenda tra i cavalieri della Guardie reale del principe ereditario Edward con l’appellativo di Cavaliere nero di Tyr.
Al di là del legame che i due possiedono con il villaggio, la determinazione di salvarlo dalla cessione proviene dal fatto che tale richiesta sembra avere un qualche legame con Freya stessa dalle caratteristiche ancora ignote.
Aaron si presenta così all’infido Sable, dignitario di Sigurd, offrendogli la propria vita onde evitare una sorte incerta a quella sorella che ama teneramente. L’occasione per Freya di impedire il sacrificio del Cavaliere nero arriva proprio dal principe Edward stesso, il quale, moribondo a causa di un avvelenamento ordito dallo stesso regno di Sigurd, si avvede della somiglianza sconcertante tra sé stesso e Freya, così le ingiunge di vestire i suoi panni per evitare il sicuro vuoto di potere che si sarebbe creato in seguito alla sua morte.ù
Ha così inizio l’inganno di Freya, che la porterà a prendere parte a giochi di potere più grandi di lei e a pericolosi avversari politici, per fronteggiare i quali avrà bisogno di cambiare sé stessa e il proprio carattere fragile. Ad aiutarla ci sarà l’unico a parte del segreto: l’enigmatico Julius, Cavaliere bianco di Tyr.
Un esperimento ben riuscito
Come anticipato, questa è la prima opera di Ishihara Keiko a raggiungere lo Stivale nella sua lingua (esistono traduzioni anglofone delle altre pubblicazioni) eppure, a venire in aiuto a chi non conosce lo stile dell’autrice ci sono delle notule da ella stessa condivise in didascalie che accompagnano il prosieguo delle vignette.
In esse, Ishihara racconta di aver dato luogo ad una vera e propria sperimentazione con L’inganno di Freya. Le sue ex protagoniste, rigorosamente femminili, erano infatti donne e ragazze forti e risolute a differenza di Freya, la quale, come a più riprese menzionato, è dotata del carattere totalmente contrario. Anche l’ambientazione rappresenta una novità, con un’ammissione di responsabilità da parte dell’autrice che fa autocritica sulle proprie lacune sul Medioevo europeo (comprensibili e giustificabili dato il suo appartenere ad una cultura lontana diecimila chilometri dal Vecchio Continente).
Lo stile dei disegni, a giudicare dai frammenti delle altre opere recuperati (sebbene con il lettering in lingua giapponese, nota solo parzialmente a chi scrive), è rimasto invece grossomodo il medesimo, con il tratto delicato e le forme tenere tipiche del genere shōjo. Trattandosi tuttavia di un manga fantasy con un conflitto armato come sfondo, non mancano scene di discreta crudezza e truculenza cui si alternano in maniera abbastanza regolare scene al contrario melliflue.
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