Indomite, o meglio Indomite. Storie di donne che fanno ciò che vogliono. Questo è il titolo dell’opera a suo modo piuttosto particolare di cui discutiamo quest’oggi.
Come il titolo suggerisce, si tratta di un volume completamente a tinte rosa, dove il rosa non assume valenza di romanticherie o di racconti melliflui, bensì più semplicemente vuole rappresentare le numerose donne protagoniste delle sue pagine.
Attraverso facciate dallo stile semplice (forse anche troppo), l’autrice dell’opera, l’eclettica artista parigina Pénélope Bagieu (fumettista, illustratrice, blogger e addirittura batterista), racconta le vite di decine di figure femminili che attraverso la Storia e i cinque continenti hanno saputo distinguersi per determinazione, intelligenza e risolutezza.
Questa edizione di BAO Publishing di Indomite raccoglie i due volumi già pubblicati dalla casa editrice milanese nel 2019. Le storie di Bagieu sono stati adattati in una serie animata composta da trenta episodi della durata di tre minuti ciascuno, disponibile per la visione su RaiPlay.
Indomite, racconti di donne emancipate dall’Antichità fino ad oggi
Non si esagera quando si definisce Indomite come un’opera senza tempo e senza luogo. Le donne che ne popolano le pagine provenogono infatti dalle più diverse epoche e hanno origini estremamente eterogenee.
Le storie sono presentate senza soluzione di continuità e sono in totale trenta. A separarle una dopo l’altra c’è un artwork coprente due facciate che riassume in un’unica immagine il racconto appena concluso.
Per far capire l’eterogeneità delle protagoniste dell’opera è opportuno citare qualche esempio. Il primo che ci viene in mente è Agnodice, la più antica delle figure presentate, vissuta nell’Atene democratica del quarto secolo prima della nostra era, cui va il merito di aver restituito alle donne la possibilità di esercitare l’ostetricia al di sotto dell’Acropoli dopo l’assurdo divieto imposto dalle autorità dell’epoca in seguito alla credenza che le levatrici praticassero aborti clandestini.
Una delle protagoniste più giovani viene dall’Afghanistan e si chiama Sonita Alizadeh. Classe 1997, fa un mestiere che pochissime altre sue connazionali fanno: la rapper. La sua musica è estremamente impegnata, difatti più che come cantante è conosciuta come attivista contro i matrimoni forzati, esperienza cui molte donne afghane e non solo vanno incontro causa gli estremi disagi che esse e le loro famiglie sono costrette a vivere. I testi di Sonita sono rigorosamente redatti e cantati in lingua persiana, dato il soggetto per cui prendono vita.
Spingendosi ancora più lontano abbiamo Wu Zetian, l’unica donna che abbia mai ricoperto il titolo di ‘imperatrice della Cina‘ (siamo nell’epoca Tang, corrispondente grossomodo agli ultimi tre secoli del primo millennio della nostra era), e Nzinga, regina di quello che oggi è l’attuale stato africano dell’Angola, la quale si batté strenuamente contro l’invasore portoghese tramite la diplomazia.
Interessante ma con un animo leggermente discutibile
Come abbiamo più volte ribadito, l’opera ha un suo perché (anzi, ne ha molti), tuttavia lo stile non lascia un colpo d’occhio propriamente d’effetto, tanto è vero che gli artwork che concludono le storie riescono a soddisfare chi legge molto di più rispetto al contenuto delle vignette. Il lettering inoltre sembra addirittura grezzo, ricordando la poco piacevole esperienza di 24/7.
Un altro elemento che non gioca a favore di Indomite è la verve da cui è animato: le parole e alcuni passaggi lasciano pensare più ad un femminismo acido che ad intenti di denuncia sociale. Ogni pagina sembra intrisa di rancore verso l’altro genere e, non fosse per alcuni personaggi maschili ‘positivi’ presenti nel corso di esse, si potrebbe addirittura pensare ad una certa misandria da parte dell’autrice.
Tali poco piacevoli scelte verbali tolgono purtroppo qualità a quelli che sono dei contenuti testuali eccellenti, interessanti e degni di essere letti, sia da parte di coloro che hanno particolarmente a cuore le tematiche proposte che da parte di chi voglia semplicemente informarsi (chi scrive non conosceva molte figure tra quelle proposte, e può dunque dirsi grato a mademoiselle Bagieu per le informazioni ricevute grazie al suo lavoro).
Proprio in ragione di tale ricchezza e dallo status di opera colta che ne deriva, risulta ancora più sgradito a chi scrive dover constatare la suddetta verve rancorosa, che sminuisce quello che a livello contenutistico non ha assolutamente nulla da invidiare ad opere di storiografia e saggistica vere e proprie (il lavoro di ricerca dietro Indomite è indubbiamente mastodontico).
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