Il Sogno di Vitruvio è una breve ma intensa e colta graphic novel edita da saldaPress (reduce da un Lucca Comics & Games condito da un’ospitata di Ryan Ottley) che costituisce un vero e proprio omaggio grafico alla figura di Marco Vitruvio Pollione, l’architetto romano autore dell’influente trattato De Architectura, opera di riferimento per ogni suo (o sua) collega nel corso dei venti secoli che ci separano da lui.
Non è un caso che l’autore dell’opera, il fumettista marchigiano Michele Petrucci, abbia dedicato questa sua ultima opera (è attivo fin dai primi anni duemila sia come fumettista che come sceneggiatore) a questo personaggio tanto importante quanto misterioso (nel fumetto viene puntualizzato quanto poco sia citato dalle fonti latine posteriori). Petrucci è infatti un conterraneo di Vitruvio, venendo entrambi dalla città di Fano, ossia l’antica Fanum Fortunae romana (per quanto il primo sia nato nella vicina Fossombrone), dove si dice che l’architetto, vissuto in epoca cesarea, abbia edificato la ormai leggendaria basilica eponima.
Il Sogno di Vitruvio ruota proprio intorno alla ricerca di evidenze archeologiche riguardo questa antica costruzione, oggi scomparsa e oggetto di ricostruzioni realizzate a partire dalla descrizione che il suo architetto ne fa nel quinto libro del De Architectura. Il tutto avviene attraverso gli occhi, i sogni e le vicende di Livio, un giovane architetto impegnato in una ricerca proprio sull’opera vitruviana, che costituisce per lui una vera e propria ossessione.
Il Sogno di Vitruvio, una visione lunga due millenni
Come poc’anzi anticipato, le vicissitudini di Livio durante la sua permanenza a Fano per portare avanti il suo lavoro vengono scandite da diversi sogni.
Diversi elementi nel corso dell’opera ci rivelano che egli non è una persona serena: coltivare la propria passione per l’architettura gli ha fatto incontrare l’ostilità del padre, avvocato con uno studio avviato che avrebbe voluto la stessa cosa per lui e che ora riversa le proprie aspettative sul fratello minore, lasciandolo spesso da parte. Queste inquietudini, unite all’ansia di ottenere risultati nelle sue ricerche, lo portano ad assumere psicofarmaci che sembrano in qualche modo stimolare il suo afflato onirico (anche se la narrazione lascia intendere che non sia esattamente così).
Queste visioni riguardano nello specifico non solo Vitruvio nei tempi in cui servì sotto Giulio Cesare come ingegnere militare (pare fosse addetto alla supervisione delle macchine da guerra) e nel momento di inaugurazione della sua Basilica, ma anche altri tre personaggi storici vissuti ognuno in epoche diverse che hanno subito l’influenza vitruviana in varie modalità.
Il primo dei tre è Leonardo da Vinci, il quale mostra ai propri allievi il suo famoso schizzo appena realizzato: l’Uomo vitruviano, di cui Petrucci mette in risalto l’intestazione redatta dallo stesso artista e inventore, la quale ribadisce la centralità dell’uomo secondo l’architetto romano.
Il secondo è l’architetto e teorico dell’architettura padovano Andrea Palladio, di poco posteriore a Leonardo, con il quale condivide i primi nove anni di vita. Egli è colto nel descrivere una delle sue numerose ville (se ne contano ventiquattro sparse per tutto il Veneto) all’amico Daniele Barbaro, il quale fu traduttore e commentatore del testo vitruviano. Ognuna di queste costruzioni palladiane è infatti ispirata nelle misure alla stessa Basilica di Vitruvio, sebbene nel De Architectura si parli per l’appunto solo delle misure, lasciando molto da parte la forma, interpretata prettamente a partire da esse.
L’ultima figura storica a fare la propria comparsa è l’architetto francese Charles-Édouard Jeanneret-Gris, meglio noto con lo pseudonimo Le Corbusier, vissuto a cavallo del XIX e XX secolo e padre dell’urbanistica contemporanea insieme ad altri suoi colleghi. Il sogno di cui è protagonista lo vede intento ad inaugurare la Cappella di Notre-Dame du Haut di Ronchamp, opera architettonica di sua progettazione a sua detta ‘totalmente a misura d’uomo’ per la quale ribadisce di essersi ispirato ai dettami vitruviani.
Un fumetto colto
L’aggettivo dominante dell’opera è senza dubbio quello che campeggia nel titolo di questo paragrafo. Le vignette de Il Sogno di Vitruvio sono lontane da qualsiasi pretesa di sgargio o protagonismo, limitandosi a descrivere tanto le scene reali quanto quelle oniriche in maniera molto cruda e senza toni troppo accesi. Lo stile dei disegni è europeo a tutto tondo, parimenti lontano dalla durezza di tratti del fumetto americano.
Il posto migliore è occupato dai dialoghi, ben scritti e capaci di alternarsi dalla descrizione all’introspezione in maniera cadenzata e mai brusca, dei quali va anche notata ed apprezzata l’italianità, scevra di influenze da parte del linguaggio proveniente dai fumetti stranieri localizzati nella nostra lingua.
Altro punto di forza dell’opera è il profondo lavoro di ricerca che traspare non solo dai contenuti fattivi, ma anche dal minuzioso compendio finale redatto in prosa. A garantire la genuinità dal punto di vista accademico dell’opera ci sono gli stessi patrocinatori di essa, tra cui figurano il Centro studi vitruviani di Fano e l’Assessorato alle Biblioteche del Comune di Fano.
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