La saga videoludica ultradecennale God of War ha raggiunto la transmedialità molto presto, grazie alla pubblicazione di due romanzi che invero si limitavano ad adattare i primi due titoli, usciti rispettivamente nel 2005 e nel 2007.
God of War: Il dio caduto, di casa Dark Horse (della quale due mesi fa ti abbiamo presentato Black Hammer) e portato in Italia da Magic Press, propone invece una storia originale con protagonista Kratos, l’antieroe tragico per eccellenza del mondo videoludico, che questa volta visita una terra finora mai battuta nella saga: l’Egitto. Il tutto si svolge nell’arco di quattro spillati originali raccolti in unico volume per la versione nostrana.
Ad occuparsi della sceneggiatura c’è ancora una volta Chris Robertson, che ha già scritto il fumetto God of War, che fungeva da prequel all’ultimo titolo della saga, rilasciato nel 2018 e anch’esso intitolato semplicemente God of War. Alle matite invece abbiamo sempre Tony Parker, che stavolta si è fatto carico di tutto il comparto grafico dell’opera se si escludono le cover.
Proposito di questa breve opera è fornire ulteriori informazioni sulla traversata di Kratos verso il Nord Europa, dove sono avvenute le sue ultime vicissitudini.
God of War: il dio caduto, una coalizione divina?
Se oltre ai fumetti ami anche i videogiochi forse ti è capitato di giocare a God of War III (2010), terzo capitolo della serie se non si considera lo spin-off portatile God of War: Chains of Olympus, e magari lo hai anche finito. Se non lo hai fatto e vuoi tenerti lontano dagli spoiler ti consigliamo di non andare avanti con la lettura o di saltare direttamente al prossimo paragrafo.
Se stai continuando a leggere, allora conosci già il drammatico finale del suddetto titolo, nel quale Kratos si dà apparentemente la morte trafiggendosi con la Spada dell’Olimpo, liberando il potere di uccidere le divinità in suo possesso (ovvero la speranza) e facendo di esso dono al genere umano.
Grazie al fumetto abbiamo altri indizi (non troppo evidenti a dire la verità) su ciò che è accaduto immediatamente dopo questi eventi al redivivo dio della guerra. Egli, come in passato, continua ad essere tormentato dal proprio ieri di nefandezze, che gli si palesa di continuo sotto forma di visioni.
Una volta rimessosi dalla brutale ferita che si era autoinferto, Kratos prova un’ultima volta ad abbandonare il proprio passato violento liberandosi delle Lame dell’Esilio, che fin dalla sua schiavitù sotto il giogo del suo predecessore Ares (con il nome di Lame del Caos) sono state il simbolo della sua impossibilità di trovare pace. Non gli è neanche concesso morire di propria mano o di vecchiezza in quanto immortale e non più in possesso del potere di uccidere i propri simili.
Tuttavia, ogni tentativo di disfarsi delle sue micidiali armi termina sistematicamente in un nulla di fatto. E così la sua vita si tramuta in una fuga da esse, che continuano a ripresentarglisi come fossero dotate di propria volontà.
Il lungo peregrinare per terra e per mare lo porta a varcare il Mediterraneo per ritrovarsi dunque in Egitto. Dopo aver incontrato per l’ennesima volta la diffidenza dei locali, che sembrano conoscere la sua storia, fa la conoscenza di un misterioso anziano, che comincia a parlargli dell’impossibilità di liberarsi del proprio passato e del proprio destino. Termina il discorso dicendo al Fantasma di Sparta che è stato proprio il suo fato a condurlo lì, in quanto presto la gente del posto avrà bisongo di lui.
Un perfetto bilanciamento tra azione e dialoghi, ma una sceneggiatura un po’ sottotono
Nonostante l’ambientazione egiziana, il cui immenso deserto è interrotto solo dalle oasi e dall’anticamente divinizzato fiume Nilo, il colouring dell’albo si mantiene tendenzialmente neutro ed equilibrato per tutta la sua durata, senza privilegiare toni caldi o freddi.
Il tratto, nello stile quanto nello spessore, fa abbastanza eco ai fumetti supereroistici, senza traccia alcuna di eterezza. Tuttavia, nonostante tali carattarestiche grafiche, la pura azione riesce ad alternarsi piacevolmente con i dialoghi, dando voce all’interiorità del Dio della guerra in maniera ottimale (va specificato che egli non è noto per essere di molte parole, semmai il contrario).
Ciò che manca e penalizza grandemente God of War: Il dio caduto è una sceneggiatura che eguagli in solidità quella dei videogiochi. La storia raccontata, infatti, sembra mettere da parte se non omettere totalmente il vissuto pregresso di Kratos, il quale dà l’impressione di non essere mai andato incontro al suo destino ben tre volte come viene raccontato nei titoli videoludici che hanno preceduto il God of War del 2018 e quindi di non aver di fatto mai compiuto quella vendetta che, nel togliersi la vita, aveva detto “si compie ora!“.
Il personaggio più interessante dell’opera è immancabilmente il vegliardo con cui Kratos dialoga, che lascia intendere a chi legge di essere egli stesso una delle divinità egizie. Eppure, la debolezza della sceneggiatura, dovuta in parte anche alla brevità del fumetto, finisce per rendere impossibile conferirgli la profondità che meriterebbe, lasciandoci abbastanza con una sensazione di incompletezza.