Goblin Slayer: una recensione [NO SPOILER]

La prima stagione dell’adattamento dello studio WHITE FOX giunge al termine

Con il 2018, giunge alla sua conclusione anche la prima stagione dell’anime ispirato alle light novel di Kumo Kagyu illustrate da Noboru Kannatsuki. E il vostro Affezionatissimo si è prodigato nel recensirlo per voi, cari amici vicini e lontani, focalizzandosi sui quattro punti salienti di tramacastregiamusiche per darvi una valutazione quanto più oggettiva possibile su uno dei grandi annunci dell’animazione di quest’anno, in attesa dell’annuncio della seconda stagione.

  • Trama: non c’è molto da dire, considerando che si tratta di un dark fantasy. Non siamo ai livelli di Berserk, sia chiaro, ma se non altro non vi ritroverete davanti una storia troppo dozzinale e che si contorce verso vicoli ciechi che pullulano di nemici privi di nerbo come certi altri trend che piacciono tanto (di quelli i cui protagonisti si definiscono spadaccini neri per il solo fatto di saper usare una spada per mano, per intenderci…). In sostanza, tutto inizia con una squadra di avventurieri adolescenti standard alla Teen Titans, misti con quel tocco di JRPG classico che non guasta mai, che fanno l’enorme, gigantesco errore di spuntare la casellina “No” alla domanda “Vuoi giocare il tutorial?” prima della loro missione. Si ritrovano quindi trucidati come cani (i maschi) o peggio (le femmine) da un mucchio di goblin assatanati che li aspettava al varco. L’unica a salvarsi dello sfortunato mucchio è la giovane Chierica, che viene salvata dal nostro protagonista, conosciuto semplicemente come Goblin Slayer, specializzato, come si evince dal nome stesso, nel far fuori queste dolci e pacioccose creature sanguinarie. Logica vuole che la giovane resti succube del fascino dell’uomo in armatura e lo segua siccome canide nelle sue peregrinazioni. Le quali consistono solo ed esclusivamente nella caccia ai goblin. Nel corso della loro allegra opera genocida, incontreranno un sacco di altri NPC generici disponibili allo sterminio e al classico spirito conviviale da avventura in terra dal nome impronunciabile. Sebbene non si tratti di uno degli intrecci più coinvolgenti di sempre, resta comunque gradevole e di intrattenimento, con un paio di colpi di scena abbastanza notevoli nel corso del dipanarsi della trama. Voto: 6.5
  • Cast: come accennato, il cast è composto da personaggi che non si discostano di una virgola dal classico comparto fantasy standard. Oltre al protagonista e alla Chierica sostanzialmente utile al fanservice per i loli e a poco altro, abbiamo un’elfa arciera, un nano che fa magie con il liquore, un lucertolone sciamano e un numero imprecisato di contorni da harem: la ragazza al bancone della Gilda, la vaccara, la strega utile al fanservice  per tutti gli altri e un numero imprecisato di altri avventurieri generici mutuati dai primi Final Fantasy e che vorrebbero strizzare l’occhio a mostri sacri come Berserk e la saga di Fate, risultando invece solamente stucchevoli e senza innovazione alcuna. Il lievissimo livello di evoluzione dei personaggi (più o meno) principali non fa nulla per risollevare il generale piattume standard di un cast senza infamia né lode. L’unica nota positiva, immagino, verrà dallo sfruttamento selvaggio della rule 34 riguardo al lato femminile del catalogo dei personaggi. Voto: 5.5
  • Regia: il team al lavoro per la gestione degli storyboard, tutto sommato, ha fatto un buon lavoro, utilizzando oculatamente gli effetti visivi da CG senza esagerare (niente transizioni sfocate alla videogioco 2.5D come in Battle of Gods, grazie al cielo) e tenendosi su una gestione dei filtri visivi piuttosto coerente all’ambientazione, virando sul dark quando necessario e sfruttando con maestria la luce nelle scene cittadine. Tutto sommato, hanno saputo giostrarsi con la dovuta perizia con una serie senza infamia né lode nel comparto creativo. Voto: 7.5
  • Musiche: il punto forte della serie. Come quel ragazzo svogliato che raggiunge la base in classe e che poi diventa un demonio con la batteria e la chitarra elettrica, le sigle di apertura e chiusura riescono a dare energie e spirito (anche se almeno superficialmente) al tutto, e se dopo “Rightfully non vi viene voglia di tracciare pentacoli infuocati o partire alla carica verso l’orizzonte (o anche solo di andarvi a rivedere Full Metal Alchemist: Brotherhood), o siete poveri di spirito voi o sono troppo esaltato io. O magari entrambi. Ah, anche le soundtrack di accompagnamento si rivelano all’altezza. Voto: 8

In definitiva, anche se la serie non si applica come avrebbe potuto, un 7- possiamo passarglielo, perché non pretende di essere più di ciò che è, pur fornendo una piacevole fonte di intrattenimento. In attesa che la seconda stagione possa confermare o rrrrrrribaltare il risultato in modo borghesco, il vostro Affezzionatissimo vi saluta.

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