Natsume Ono, mangaka classe 1977, ha all’attivo già diverse interessanti pubblicazioni: da Sarai-ya Goyō, noto anche col titolo internazionale di House of Five Leaves e incentrato sui samurai e sui ronin del periodo Edo, al drama ACCA: 13-ku Kansatsu-ka ambientato nel regno immaginario (ma verosimile) di Dowa, passando per Ristorante Paradiso con la sua ambientazione italiana, svolgendosi in un ristorante di Roma.
Ovviamente ha scritto anche altro, ma queste sono le sue opere più famose, in virtù degli adattamenti animati che hanno ricevuto negli anni. Non stupisce dunque che la nostrana BAO Publishing decida di puntare sulla Ono portando in Italia un manga pubblicato tra il 2011 e il 2016 ma sulla carta molto interessante: Futagashira.
Il Giappone feudale visto da Natsume Ono
Come già detto, Natsume Ono ha già esplorato il mondo del Giappone di età Edo (la fine dell’età feudale, prima della “modernizzazione” dell’età Meiji) in House of Five Leaves, e in Futagashira si respira subito un’aria di familiarità per chi ha già letto quell’opera, o visto l’anime da essa tratto. Ciò è dovuto in parte alla stessa ambientazione, in parte al fatto che Futagashira è uno spin-off di House of Five Leaves, ma questo non vuol dire che ne sia una sbiadita copia, tutt’altro.
Futagashira si configura prima di tutto come una via di mezzo tra uno slice of life e un buddy movie. La prima espressione indica storie incentrate sulla quotidianità e sulle vicende di tutti i giorni, che in questo primo volume la fanno da padrona: i pericoli, le difficoltà e le avversità che i protagonisti devono affrontare sono quelle della vita di tutti i giorni nel Giappone del periodo Edo, fra truffe, raggiri, bevute, momenti di relax e mezzucci di ogni genere per rimanere a galla in un mondo brutale. Nel mondo di Futagashira, o quantomeno nel primo volume, non c’è nulla di eroico nonostante l’epoca sia la stessa dei samurai e dei ronin resi immortali da film, serie tv e anime.
Al contempo, proprio l’attenzione alla vita quotidiana e umile dell’epoca permette all’autrice di mostrare con grande precisione e ricchezza di dettagli com’era il Giappone dell’epoca. La ricostruzione del periodo storico è minuziosa e denota un grande lavoro di ricerca.
Futagashira: la storia di un’amicizia
Alla base di Futagashira vi è un meccanismo narrativo ben noto, collaudato e di successo, che richiama principalmente quel sottogenere cinematografico noto come buddy movies: in pratica la storia è incentrata su due personaggi dello stesso sesso, con personalità non necessariamente simili ma destinati a essere legati da una forte amicizia.
Protagonisti della vicenda sono Benzō e Sōji, due teppisti membri della temuta banda di Akame. Sono due giovani pieni di ambizioni che cercano di farsi largo in un mondo brutale a suon di inganni e atti illegali, ma le cose cambiano bruscamente quando il loro boss muore. Benzō e Sōji sono convinti che gli succederanno alla guida dell’organizzazione, ma una brutta sorpresa è in arrivo per loro: il successore designato, a quanto pare, è un altro. A quel punto decidono di mollare la banda e rinnegarne il nome, per intraprendere un nuovo cammino insieme, in cerca della gloria e della ricchezza.
Benzō e Sōji sono due adorabili bricconi, pronti sempre a spalleggiarsi e a soccorrersi l’un l’altro, come si vede nella prima storia che apre il manga. La loro decisione di voltare le spalle agli Akame è unanime e senza tentennamenti e anche nelle successive avventure del primo volume il loro affiatamento non viene meno. La chimica tra i due protagonisti è semplicemente perfetta e riesce a dar vita anche a diversi siparietti comici nel tipico stile della Ono, divertenti e gustosi senza però risultare forzati o nonsense.
Semplicità e minimalismo
Chi segue la Ono da tempo conosce ormai bene il suo stile di disegno, minimale e nel contempo molto espressivo, che per ammissione stessa della mangaka deriva dall’influenza della disegnatrice Yumi Tada. Uno stile per molti versi ostico, che richiede una grande attenzione, visto che le fisionomie dei personaggi finiscono per assomigliarsi e si rischia di fare confusione se non si fa caso al contesto o all’abbigliamento della persona che parla in quel momento.
Il minimalismo non si nota solo nel tratto di disegno, ma anche nell’impostazione della narrazione, che alterna dialoghi serrati e vivaci ad altri pacati e più lenti, fino ad arrivare a vere e proprie sequenze di tavole “mute” in cui a parlare sono soltanto le immagini, come nelle vignette che precedono l’annuncio della morte del boss.