Cronache delle guerre demoniache, a dispetto della propria più o meno recente pubblicazione, ha dietro le spalle una lunga storia.
Chiunque abbia sentito anche solo parlare di manga e anime nel corso della propria vita ha giocoforza sentito nominare il seguente maestro di quest’arte: Nagai Gō, al secolo Nagai Kiyoshi, classe 1945, padre di quelli che sono alcuni tra i capolavori del fumetto e dell’animazione giapponese e internazionale, oltreché riconosciuto introduttore dell’erotismo nelle opere di genere shōnen e shōjo e dei primi mecha.
Da Devilman a Mazinga Z, le sue creature non hanno bisogno di troppe presentazioni dal momento che sono familiari ad almeno due generazioni di italiani se non tre. Oggi ci occupiamo invece di un Nagai che è rimasto adombrato fino al 2013, anno di pubblicazione di Cronache delle guerre demoniache nel Sol Levante. Si tratta di un singolo tankōbon di circa trecento pagine contenente sei storie del Maestro scritte e disegnate nel corso di quarant’anni e rimaste a lungo fuori dai riflettori, arrivato in Italia grazie alla sempre elegantissima J-Pop alla fine del mese scorso.
I sei racconti a fumetti che quest’albo contiene, per quanto brevi siano, condensano le virtù narrative e artistiche del Maestro, il cui tratto e la cui verve sono più che riconoscibili per tutta la durata della lettura, così come le influenze di altri autori non per forza colleghi fumettisti e del sostrato mitologico shintō di cui l’afflato narrativo e grafico di Nagai trabocca.
Cronache delle guerre demoniache, ma quali demoni?
Come già anticipato, stiamo parlando di una raccolta che si è costituita nell’arco di quarant’anni, contenente storie che anticipano o fanno naturalmente eco all”opera formale’ del maestro Nagai. Ciascuna di esse è preceduta da una notula di quest’ultimo in cui egli racconta alcuni interessanti aneddoti riguardo la loro genesi.
La prima, Cronache delle guerre demoniache, è omonima ed eponima dell’intero tankobon, ed è nei fatti un prologo in due parti a Shutendoji, opera shōnen di Nagai pubblicata dal 1976 al 1978 ispirata dalle vicende del santone giapponese En l’Asceta, vissuto nel settimo secolo, che si dice avesse dei demoni al proprio servizio. Il protagonista di tale opera, il bello e dannato Shutendo Jiro, fa la sua prima apparizione proprio qui.
Seguono il distopico e moraleggiante La maschera, che raccoglie dichiaratamente nei tratti e nei risvolti narrativi l’eredità del maestro Osamu Tezuka, a detta di Nagai deceduto poco prima della realizzazione dell’opera (che è infatti datata 1991).
La creatura del mondo bianco (1971) è ispirata ancora una volta a Tezuka nel tratto e sfrutta una festività del Giappone settentrionale per riflettere velatamente sulla perdita della capacità di immaginare da parte dei piccoli giapponesi in seguito all’avvento del video.
Con Specchio di Nebbia si torna al 1991 e ad un orrore più truculento, ma al contento dotato di una spiccata attenzione alla psiche dei personaggi, primi forieri dei loro stessi incubi che davanti a loro si materializzano.
Suiko è la prima tra queste storie ad essere nata nel nuovo millennio ed insieme alla prima e all’ultima che vedremo tra poco è quella che più attinge al folklore shintō. Questa vicenda vede infatti i protagonisti scontrarsi con una delle più conosciute creature acquatiche della demonologia del Sol Levante, un kappa, che stavolta troviamo come ospite indesiderato di una piscina pubblica.
A concludere l’opera c’è La donna corvo, unica storia della raccolta ad essere totalmente inedita e anch’essa a sfondo mitologico, che racconta dell’incontro tra un giovane Minamoto no Yoshitsune (grande guerriero della Storia del Sol Levante) e un tengu corvo (l’equivalente nipponico delle nostre arpie o sirene greche, che erano alate a differenza di quelle caudate, le quali appartengono alla posteriore tradizione medievale). In quest’ultimo racconto la passione del maestro Nagai per l’erotismo si libera totalmente, con la matita che descrive la sensualità maschile e femminile in maniera prorompente e disinibita.
Il maestro Nagai tra passato e futuro
Da questa descrizione delle sei storie che compongono Cronache delle guerre demoniache traspare la grande onestà intellettuale di Nagai Gō, che fin dalle primissime opere non ha mai fatto mistero di aver avuto dietro di sé numerosi ispiratori e mentori tra cui, visto che è il suo anno, vale la pena menzionare il nostrano e sempiterno Dante Alighieri, del cui capolavoro La Divina Commedia è famosa la trasposizione che il Maestro gli dedicò nel 1994, i cui disegni erano ispirati alle illustrazioni di Gustave Doré, ormai riconosciute universalmente come le migliori rappresentazioni grafiche del poema dantesco.
Volendo porre in ordine cronologico le sei storie, è scontato dire che si coglie la costante evoluzione del tratto. In La creatura del mondo bianco l’ancora largo ascendente tezuchiano traspare soprattutto dalle rotondità del piccolo protagonista, ed è interrotto soltanto dalle figure demoniache che fanno capolino nell’opera, le quali restituiscono l’influsso dell’arte tradizionale giapponese, da sempre prodiga di raffigurazioni di esseri mostruosi.
Nella durezza dei tratti dei protagonisti e nella formosità delle protagoniste troviamo invece la quintessenza degli eroi nagaiani. D’altronde, a parte la storia appena citata, tutte le altre sono nate quando il Maestro aveva almeno due serie di Mazinga concluse e un UFO Robot Goldrake appena nato, oltre al suo Devilman che era già terminato nel 1973.
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