Armitage III è un’anime originale nato come serie di 4 OVA diretti da Hiroyuki Ochi nel 1995. Due anni più tardi la stessa storia è stata riarrangiata all’interno del lungometraggio Armitage III: Poly-Matrix, che è tutti gli effetti un fedele remake. Risale invece al 2002 il sequel intitolato Armitage III: Dual-Matrix. La saga è disponibile anche in italiano grazie a Dynit, che l’ha importata nel 2008.
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La trama di Armitage III
Siamo nel 2046 su Marte, nella città di St. Lowell. Il pianeta rosso sta cercando di unirsi alla Terra per procedere come un’unica entità. La società è però scossa da rivolte dovute alle politiche dei giganti dell’industria, che hanno poco riguardo per la vita umana e inseguono il profitto. Le condizioni di vita dei cittadini non sono ottimali e la manodopera è sempre più spesso affidata agli androidi.
Una serie di efferati omicidi terrorizza la popolazione. Sia perché sono state prese delle vite, sia perché le vittime mostrano parti robotiche, suggerendo l’esistenza di una nuova generazione di androidi, sempre più simili agli esseri umani.
Naomi Armitage è un androide di terza generazione, indistinguibile da un essere umano, che nasconde la sua vera natura per integrarsi nella società. Lavora nella polizia e, con il suo collega Ross, si occuperà di questi omicidi. Entrambi nascondono il proprio passato, ma i loro problemi si riveleranno molto piccoli rispetto a quello che sta succedendo realmente in città.
Analisi
Armitage III è nato sull’onda cyberpunk degli anni Novanta e rappresenta un esempio molto significativo, cosa non da poco considerando che è uscito appena prima di Ghost in the Shell. Sono presenti tutti gli elementi più importanti della narrativa di genere, una città affollata, un diffuso disagio sociale che rende l’esistenza molto faticosa e, naturalmente, un contesto futuristico che vede i personaggi muoversi su Marte, circondati da cyborg.
In questo caso l’ascesa dei robot è da imputare alla bassa natalità, che ha reso necessarie misure drastiche per il mantenimento di una società funzionale. Da qui nasce tutta la riflessione tipica del movimento cyberpunk, che indaga quali siano i limiti dell’essere umano, cercando quale sia il punto in cui una macchina non è più considerabile tale. Armitage mostra confini molto labili, sia nella sua prima incarnazione che nel seguito, in cui vediamo la protagonista addirittura diventare madre.
Le questioni coloniali diventano così soltanto una cornice per esplicitare questi temi, per quanto risulti molto interessante esplorare una società divisa tra la ricerca dell’indipendenza e il bisogno di legarsi al pianeta madre.
Il comparto tecnico regge a malapena una visione verso i trent’anni successivi alla realizzazione dell’anime. La colonna sonora, composta prevalentemente da musica elettronica, riesce a farci immergere perfettamente nelle situazioni di tensione e oscurità, ma anche in quelle più tranquille.
L’aspetto visivo è quello che ha ceduto il passo più velocemente, con un character design un po’ fuori dagli schemi, un fanservice diffuso che però non risulta eccessivo né toglie qualcosa alla storia grazie ad un’ottima regia, capace di alternate momenti d’azione con episodi più riflessivi che spezzano nei punti giusti la narrazione. Le inquadrature del contesto cittadino sono ben pensate, ma per l’appunto pagano l’età ormai avanzata e il formato 4:3.
Nonostante i protagonisti siano membri della polizia non si tratta di un vero e proprio giallo, l’attenzione è più concentrata sugli aspetti tipici della letteratura cyberpunk, se ne consiglia quindi la visione a uno spettatore più settoriale, per quanto non manchino momenti che potrebbero intrattenere anche un pubblico generalista.