Spesso il nome di Shockdom, italianissimo editore attivo da oltre vent’anni, viene associato a opere satiriche (complice quel famoso attacco al suo stand del Romics avvenuto nel 2016 e diventato presto virale sul web). Ebbene, si dà il caso che negli ultimi anni abbia pubblicato una serie di opere fumettistiche detta TIMED, che ha visto i propri albori nel 2017.
Essa, che ha raggiunto il già dignitoso ammontare di otto pubblicazioni in totale, è riuscita a guadagnarsi la nomea di universo supereroistico, sebbene, come il nome stesso velatamente anticipa, i suoi protagonisti non siano propriamente fatti per durare come i vari supereroi in costume a cui il fumetto d’Oltreoceano ci ha abituato.
I TIMED, a cui la serie deve il nome, sono esseri umani che, in data 14 gennaio 2022 (così precisa anche l’albo di cui ci occupiamo oggi, Se questo è un TIMED di Emanuele Amato e Marco Locati) acquisiscono improvvisamente capacità straordinarie tra di loro estremamente diversificate. Tuttavia tale potere è da pagare con l’unica vera proprietà di ciascuno di noi: la vita. Ogni singolo TIMED è infatti segnato fin dal momento dell’emergere di tali facoltà.
Ogni opera dell’universo TIMED è ambientata in un momento diverso posteriore alla fatidica data già citata, nota come istante t0, i cui avvenimenti sono narrati in TIMED ZERO, pubblicata anch’essa quest’anno. Anche le ambientazioni sono ben variegate: dalla Sicilia alla Germania, passando per Londra e per il Brasile. Si tratta di un mondo cambiato rapidamente e radicalmente rispetto a quello che conosciamo, con nuovi Stati e persino nuovi credi religiosi che strumentalizzano oppure ostracizzano la ‘nuova specie’.
In Se questo è un TIMED la storia si ripete nel peggiore dei modi
Se questo è un TIMED è ambientata pochi mesi dopo le prime battute del fenomeno TIMED.
Protagonista è Tiresia, già comparsa nell’eponima pubblicazione del 2019, un’esponente di questa categoria di supereroi condannati a morte che possiede la capacità di penetrare nell’animo delle persone e, con la dovuta competenza, di controllarne la volontà e persino le azioni.
Questo tremendo potere arriva a costarle non soltanto una vita lunga, ma anche la libertà. Ella viene infatti catturata e imprigionata come tanti altri TIMED, e lo stretto contatto con i suoi compagni di prigionia, unito alla sua inesperienza nel padroneggiare la sua facoltà, la porta ad avere una sgradevole sequela di tormentose e opprimenti visioni derivanti per l’appunto dall’animo di chi le sta intorno.
La conoscenza con un altro detenuto del penitenziario di Valdeluz, il labile Sergio, molto più determinato di lei a riconquistare la libertà, la spingerà a dar fondo al suo potere onde porre fine alle brutalità perpetrate dai carcerieri, che sfruttano i TIMED prigionieri come cavie da laboratorio alla stregua di un Josef Mengele o di un’Unità 731.
Azione e introspezione grazie alla protagonista
Nelle poche, condensate pagine di Se questo è un TIMED, lo sceneggiatore Emanuele Amato ha saputo egregiamente lasciare sufficiente spazio sia alla psicologia della protagonista, la cui abilità sovrumana coinvolge per l’appunto la mente, che alla pura azione, che vede il proprio trionfo nella fase conclusiva dell’albo.
I dialoghi, fatto estremamente raro in un’Italia come quella di oggi, dove si apprezza molto un italiano subordinato al ‘doppiaggese‘ proposto a raffica dagli adattamenti delle opere filmiche e seriali di provenienza americana (ci siamo espressi diffusamente in merito nel corso della recensione di Burning Eyes, un altro fumetto concepito nel Bel Paese), tradiscono perfettamente l’italianità di chi li ha scritti. Emblematico in questo senso è l’uso della forma colloquiale ‘aspè‘ in luogo dello standard ‘aspetta‘ in una delle prime pagine dell’albo.
Sul versante puramente grafico abbiamo una predominanza di toni freddi negli ambienti interni contrapposta al calore dei colori nelle scene ambientate all’esterno del penitenziario e in alcune visioni di Tiresia. Il tratto è sottile e in un certo qual modo etereo, tanto da ricordare quello di un David Nguyen, sebbene lo stile di Marco Locati nel rendere l’aspetto umano sia nei fatti molto più spigoloso rispetto alla citata matita dietro le serie Descender e Ascender.
Proprio questa scelta stilistica rende necessario aguzzare parecchio la vista nelle scene più movimentate, che potrebbero disorientare chi legge e portarlo a focalizzarsi di più sulle parole che sui disegni, rischiando così di far venire meno quel mutuo sostegno tra verbo scritto e arte visiva che è la sostanza del medium fumettistico.