Ghost in the Shell è un film d’animazione datato 1995, diretto da Mamoru Oshii, basato sull’omonimo manga di Masamune Shirow.
La pellicola, della durata di 79 minuti, è stata realizzata da Production I.G. Nel 2008 il film originale è stato restaurato e ripubblicato sotto il nome di Ghost in the Shell 2.0, da non confondere con Ghost in the Shell 2 – Innocence, seguito spirituale arrivato nel 2004.
L’opera nel suo complesso è ritenuta la più significativa in ambito cyberpunk orientale.
Kenji Kawai ha realizzato l’intera colonna sonora, basata sul contrasto tra sonorità tradizionali e un contesto futuristico.
Nel corso del tempo il franchise si è arricchito delle serie tv Ghost in the Shell: Stand Alone Complex, delle collane di OAV intitolate Ghost in the Shell: Arise e Ghost in the Shell SAC 2045, oltre ai mediometraggi Ghost in the Shell: S.A.C. Solid State Society e Ghost in the Shell: The Rising.
Al di fuori dell’ambito dell’animazione, nel 2017 è uscito nelle sale un film live action, con protagonista Scarlett Johansson.
Il film è disponibile su VVVID.
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La trama di Ghost in the shell
Siamo in un 2029 immaginato negli anni Ottanta del Novecento, immaginato in pieno stile cyberpunk come decadente, sovrappopolato ma completamente pervaso da tecnologia. Gran parte della popolazione ha accesso e utilizza regolarmente impianti cibernetici, o ha addirittura trasferito la propria coscienza in un corpo robotico.
Conosciamo subito il maggiore Motoko Kusanagi, membro della sezione 9 di pubblica sicurezza, che sfrutta il suo corpo robotico per completare la missione assegnatole.
Il maggiore e i suoi colleghi sono alla ricerca del Burattinaio, un misterioso hacker che continua ad attaccare obiettivi governativi. In un mondo in cui tutti sono connessi direttamente alla rete, significa ad esempio prendere possesso di un’interprete che lavora per un ministro.
Ulteriori indagini su elementi sospetti coinvolgono anche Ishikawa e Batou, due estremi in un mondo molto variegato: il primo è completamente sprovvisto di impianti, mentre il corpo del secondo è quasi tutto migliorato da protesi.
La sezione 9 brancola nel buio a causa dell’abilità del Burattinaio, che svela la sua posizione, soltanto per far trovare potenziali sospetto che sono in realtà a loro volta controllati dall’hacker.
Una volta identificato il vero colpevole, il Burattinaio si rivela essere il Progetto 2501, entità creata in laboratorio, una sorta di programma senziente, simile a un’intelligenza artificiale, ma molto più abile.
Il maggiore Kusanagi prova a interagire con lui, dando vita a un dialogo di stampo filosofico su cosa sia realmente la vita e come un soggetto come lui sia provvisto di due elementi fondamentali per definirsi vivo, la capacità di morire e quella di riprodursi. Entrambe si riveleranno infondate grazie all’intervento del maggiore che, sopravvissuto per miracolo grazie a Batou, si perderà nel vasto mondo che vede ora con nuovi occhi.
L’opera
Ghost in the Shell presenta diversi omaggi alla letteratura cyberpunk, ma ha a sua volta ispirato elementi di cultura pop degli anni successivi, da Matrix a Dollhouse, fino ad A.I. – Intelligenza artificiale. Lo stesso personaggio di Motoko è stato il prototipo per la costruzione di diversi personaggi femminili, soprattutto nel mondo occidentale.
Il mondo in cui si muovono i personaggi è lo stesso che abbiamo visto in grandi classici come Blade Runner. Sempre molto vivo e molto popolato. E soprattutto ricco di persone che, per sopravvivere, trovano il modo per aggirare la legge.
Si comincia immergendoci nella realtà del futuro come se fossimo all’interno di un film d’azione di indirizzo investigativo, per poi entrare con molta discrezione in un mondo astratto, dove le questioni materiali assumono un ruolo sempre minore, un significato sempre più piccolo rispetto ai grandi temi filosofici sviluppati nel finale.
il film procede come un grande labirinto, in cui gli agenti della sezione 9 si perdono durante la ricerca del Burattinaio.
Motoko Kusanagi ha modo di mostrare le sua capacità. Si tratta di un essere molto avanzato, con abilità fuori dal comune anche in un contesto come quello del 2029 immaginato da Shirow. Nonostante questo, l’avversario si rivela sfuggente.
La difficoltà a strutturare un’indagine completa è un sicuro indizio di quanto sia formidabile il nemico, anche se poi arriviamo a scoprire che la questione è un po’ più complicato di così.
Dal lungo e complesso confronto tra Motoko e il Burattinaio emerge un’inimmaginabile spinta evolutiva, che porta alla creazione di un nuovo essere, evoluto a tal punto da non riuscire a comprenderne il potenziale. Il finale aperto è una testimonianza indirizzata al pubblico, che potrà cogliere l’invito di 2501 ad esplorare quella vasta rete che è la vita.
Analisi
Questa perla dell’animazione giapponese degli anni Novanta ha giovato delle innovazioni tecnologiche di Production I.G, divenendo punto di riferimento per gli anni a venire anche nelle sue incarnazioni seriali.
Il film comincia subito mostrando i muscoli e dettando il tono dell’ora successiva. Un personaggio femminile, completamente nudo ma privo della sua componente sensuale in quanto in realtà completamente di metallo, fa largo uso di sensori e tecnologie per localizzare i suoi obiettivi, all’interno di una missione in cui le armi tradizionali, ma anche i sensi tradizionali, non sono abbastanza.
Ci troviamo quindi nel futuro, ma il contesto ben presto inizia a contare relativamente. Quello che osserviamo sono le condizioni di vita di queste persone, con un divario sociale particolarmente pronunciato tra i diversi strati della società, identificati spesso in modo concreto, in una città che si sviluppa in verticale.
Da un certo punto in poi l’attenzione si sposta prevalentemente su dilemmi puramente etici e filosofici, di quelli che soltanto la tecnologia può mettere di fronte a esseri umani dalla mente limitata, abituati a dare ruolo di divinità a qualunque cosa non siano in grado di comprendere.
Il primo tema riguarda l’integrità dell’essere umano definito come tale. Molti dei personaggi che vediamo a schermo sono umani solo di nome, in quanto il loro corpo è in parte o completamente costruito artificialmente. C’è addirittura chi ha conservato solo il cervello biologico, o ha addirittura trasferito la propria coscienza in un cervello positronico. Dove è possibile quindi tracciare una linea tra cosa sia considerabile umano e cosa sia una macchina? Dove si perde la propria umanità, quando si hanno a disposizione diversi modi per andare oltre le limitazioni intrinseche del corpo umano, integrando nuovi elementi? O, in parole povere, cosa sarà di noi quando riusciremo a utilizzare all’interno del nostro corpo quelli che ad oggi sono soltanto dispositivi esterni per comunicazione ed intrattenimento?
La risposta che offre Ghost in the Shell risiede nel Ghost, l’equivalente di quello che alcune religioni chiamano anima, altri definisco spirito, insomma l’insieme di elementi ed esperienze che definiscono l’unicità di un essere rispetto a un altro.
Un secondo tema si propaga dal primo, andando ad indagare se un essere completamente artificiale possa essere considerato vivo, come il Burattinaio chiede a più riprese. Con esso non siamo più neanche di fronte a un umano, nato, cresciuto, modificato, ma proprio a un organismo che nasce e si evolve senza alcun elemento biologico di base. Si tratta peraltro di un tema quantomai attuale, considerando quanto l’intelligenza artificiale sia quantomai pervasiva, seppur, al momento, non ancora finalizzata all’interazione umana (ma Siri, Alexa e le loro amiche stanno lavorando in questa direzione).
Un elemento che vista l’intensità del finale un po’ cade in secondo piano è la domanda: cos’è reale? Il Burattinaio dimostra di poter sovrascrivere e cancellare memorie, distruggere intere esistenze lasciando in vita corpi vuoti. La stessa Motoko si chiede se non sia in realtà già morta, mentre l’attuale se stessa non sia altro che un programma che ne simula la personalità.
La verità è purtroppo impossibile da stabilire, in un modo simile a quello ripreso da Inception di Nolan. Ad un certo punto è irrilevante quale sia la verità, mentre vale solo l’esperienza del momento.
Tutto questo è stato possibile grazie alla maniacale attenzione di Mamoru Oshii, regista che evita quando possibile di accelerare il ritmo, preferendo dare spazio a dialoghi e sequenze di un certo peso, ma che non ricadono mai nell’eccessiva verbosità o in una lentezza esasperante. A ogni cosa il suo tempo, lo spettatore viene messo di fronte agli avvenimenti senza eccessive spiegazioni e viene messo di fronte a lunghi dialoghi immersi in sequenze oniriche che lasciano il segno.
Uno stile che ha scontentato un po’ i fan del manga originale in patria, ma che ha sicuramente contribuito a rendere il film un elemento fondamentale delle collezioni di milioni di appassionati, un capolavoro dell’animazione che ancora oggi emoziona grazie alla profondità dei messaggi contenuti in esso.