Lo studio Sunrise nasce nel 1972 come studio d’animazione affiliato alla Soeisha, divisione del colosso cinematografico Tohoku Shinsha specializzata in film per l’infanzia.
Fin da subito ha coinvolto personalità del calibro di Tadao Nagahama, Yoshikazu Yasuhiko e soprattutto Yoshiyuki Tomino, creatore del più fortunato franchise dello studio, la saga Gundam.
Fino alla fine degli anni ’80 si è occupato soprattutto di anime mecha, per poi spaziare in altri generi.
Inoltre, dal 1994 fa parte della Bandai.
10 – Zambot 3 (1977-1978, 23 episodi)
Sulla carta Zambot 3 (無敵超人ザンボット3 Muteki chōjin Zanbotto Surī 3) può sembrare il solito anime mecha: ci sono gli alieni cattivi che vogliono invadere la Terra, c’è un manipolo di eroi che vi si oppone, e non mancano i robottoni che se le danno di santa ragione. In realtà l’anime, ideato e diretto da Yoshiyuki Tomino, presenta un tono molto più adulto e crudo delle produzioni precedenti.
Infatti la serie, accanto ai soliti combattimenti tra mecha, mostra tutti gli effetti “collaterali” del conflitto: le città devastate, le masse di profughi in fuga dalla guerra, i campi di prigionia, la crescente paura nei confronti non solo degli invasori ma anche degli stessi eroi, considerati a torto o a ragione co-responsabili di quanto sta succedendo. Gli invasori Gaizok mirano a sterminare il genere umano e non si fanno scrupoli a usare tattiche sempre più sanguinarie, anche se nel finale si scoprirà che dietro le loro azioni c’è ben più del semplice sadismo.
Inoltre Tomino non si fa scrupoli a uccidere diversi personaggi principali, compreso parte del team che pilota lo Zambot 3. Non è un caso che gli sia stato affibbiato il soprannome di “Tomino il macellaio”.
In Italia la serie fu trasmessa nel 1981 e, cosa rara per l’epoca, con l’opening giapponese. Un secondo doppiaggio più fedele all’originale dell’intero anime è stato fatto da Dynit nel 1998.
9 – City Hunter (1987-1991, 140 episodi)
City Hunter (シティーハンター Shitī Hantā) è una delle opere più rappresentative degli anni ’80 nipponici, col suo mix perfetto di dramma e commedia, di adrenalina e di sensualità.
L’anime adatta l’omonimo manga di Tsukasa Hōjō, serializzato dal 1985 al 1991, e ha conosciuto uno strepitoso successo non solo in madrepatria ma anche in Occidente, compresa l’Italia, dove però è stato vittima di un adattamento non proprio perfetto.
L’opera segue le vicende professionali e personali di Ryo Saeba, esperto combattente dal passato misterioso e una passione esasperata per il gentil sesso, e della sua socia Kaori Makimura: insieme formano il duo dei “City Hunter”, lavorando ora come guardie del corpo, ora come investigatori privati in una Tokyo piena di insidie e di criminalità.
Le differenze caratteriali tra i due protagonisti offrono il fianco a numerose situazioni comiche, tra le quali la più ricorrente è la martellata che Kaori infligge puntualmente al collega quando ci prova con una bella donna; ma siccome gli opposti si attraggono, nel corso della storia tra i due nascerà un genuino affetto, che Ryo nasconderà il più possibile per non mettere in pericolo la partner.
Il grande successo dell’opera ha portato Tsukasa Hōjō a disegnare un altro manga, Angel Heart, anch’esso adattato in anime nel 2005 e definito dallo stesso autore un sequel “alternativo” di City Hunter.
In Italia l’anime è stato doppiato in due fasi: i primi 114 episodi da Mediaset, con un adattamento che prevede nomi anglosassoni per i personaggi, e i rimanenti da Dynit, che ha preferito un adattamento più fedele all’originale.
8 – Aura Battler Dunbine (1983-1984, 49 episodi)
Aura Battler Dunbine (聖戦士ダンバイン Seisenshi Danbain) rappresenta uno dei primissimi esempi di isekai, ossia di quelle storie in cui un protagonista umano finisce trasportato in un altro mondo dai connotati fantastici.
Shō Zama, un terrestre come tanti altri, in seguito a un incidente motociclistico si ritrova improvvisamente catapultato a Byston Well, un mondo di fate e cavalieri in cui esiste la magia e le guerre si combattono a bordo di potenti robot chiamati Aura Battlers.
Mescolando fantasy e fantascienza, Tomino dà vita a una storia che non manca di difetti, essendo appesantita da qualche lungaggine di troppo, ma che spicca per l’originalità di alcune sue trovate: basti pensare che gli Aura Battlers non sono esseri completamente meccanici, ma sono ricavati dall’esoscheletro di grossi insetti e mossi tramite l’aura, l’energia magica dei piloti.
Non bisogna neanche dimenticare che quando Aura Battle Dunbine andò in onda, il genere fantasy era molto poco noto in Giappone. Le saghe videoludiche di DragonQuest e Final Fantasy e manga come Berserk e Slayers, che avrebbero sdoganato il genere, non erano ancora comparse. Si può quindi dire che Tomino abbia precorso i tempi.
Lo stesso Tomino ha poi ampliato l’universo narrativo di Dunbine con OAV e romanzi, che però non sono necessari per godersi appieno la bellezza della serie madre.
In Italia l’anime è tuttora inedito.
7 – Space Runaway Ideon (1980-1981, 39 episodi)
Yoshiyuki Tomino firma anche Space Runaway Ideon ((伝説巨神イデオン Densetsu Kyojin Ideon), anime robotico che alla classica guerra fra terrestri e alieni bellicosi univa un interessante sottotesto mistico e un’attenzione, incredibile per l’epoca, per il realismo psicologico dei personaggi.
L’Ideon del titolo, infatti, è un robottone creato da un’antica civiltà, animato da una misteriosa forza chiamata Ide che gli conferisce poteri divini: verso la fine, arriva addirittura a tagliare in due i pianeti e a evocare mini-buchi neri. In questo modo l’Ideon cessa di essere un semplice strumento per combattere i nemici e diventa un’arma a doppio taglio, a malapena controllabile dai suoi stessi piloti.
Come già successo in Gundam e forse addirittura in misura maggiore, Tomino compie un ottimo lavoro nel tratteggiare i personaggi, conferendo loro debolezze umane e difetti che li rendono molto più sfaccettati dei loro predecessori.
La serie purtroppo si rivelò un flop e fu conclusa in fretta e furia con un episodio finale molto sbrigativo. Fortunatamente nel 1982 Tomino poté realizzare due film, uno che riassumesse la serie e l’altro che le desse il giusto finale, dal tono epico e apocalittico.
In Italia l’anime è tuttora inedito, così come i film.
6 – Gintama – Gintama’ – Gintama’ Enchōsen (2006-2013, 265 episodi)
Qui non si tratta di un’unica serie, ma dei tre adattamenti del manga Gintama (銀魂) di Hideaki Sorachi prodotti dallo Studio Sunrise nell’arco di sette anni. Altre serie quattro serie, intitolate Gintama°, Gintama., Gintama. Porori-hen e Gintama. Shirogane no Tamashii-hen, sono state realizzate dalla Bandai Namco Pictures Inc. e quindi non rientrano in questa classifica.
A metà tra un battle shōnen e una commedia demenziale, tra storia e fantascienza, con una spruzzata di folklore nipponico e un tripudio di citazioni a moltissimi altri anime e manga, Gintama è ambientato in un Giappone alternativa, simile a quello del periodo Edo, in cui un’invasione aliena ha portato alla sottomissione dello shogunato ma anche a grandi progressi tecnologici. A un appassionato di storia non sfuggirà come questa situazione surreale rappresenti una rivisitazione fantastica della reale condizione del Giappone dopo l’arrivo delle navi nere del commodoro Perry e l’apertura forzata del Paese agli stranieri occidentali.
L’anime (come pure il manga) manca di una vera e propria trama orizzontale: pur non mancando archi narrativi di più ampio respiro, la maggior parte degli episodi è autoconclusiva e racconta le vicende dei protagonisti Gintoki, Shinpachi e Kagura che cercano di guadagnarsi da vivere e di pagare l’affitto lavorando come tuttofare.
In Italia Dynit ha doppiato e distribuito solo i primi 49 episodi, peraltro con un adattamento che edulcora il linguaggio e le espressioni troppo forti.
5 – Armored Trooper Votoms (1983-1984, 52 episodi)
Ideato da Ryōsuke Takahashi, Armored Trooper Votoms (装甲騎兵ボトムズ Sōkō kihei Botomuzu) rappresenta un ulteriore passo nell’evoluzione del genere mecha.
Protagonista dell’anime è Chirico Cuvie, soldato in una guerra di proporzioni galattiche che si protrae ormai da un secolo. Accusato di tradimento dalla sua fazione, Chirico è costretto a darsi alla fuga insieme a una splendida e misteriosa donna recuperata durante la sua ultima missione militare, e poco a poco, tra guerriglie combattute come mercenario e lotte clandestine tra mecha, fa luce su un’oscura cospirazione che coinvolge l’intera galassia.
I Votoms del titolo sono sì robottoni giganti, ma sono anche prodotti in serie, come se fossero carri armati o aerei da guerra. Il mecha perde così la sua unicità, la sua aura di super-arma non replicabile, e diventa solo un mezzo da combattimento identico a tutti gli altri. In questo modo Takahashi ha portato alle estreme conseguenze il filone dei real robots, caratterizzato da un estremo realismo, tanto nelle tecnologie belliche mostrate quanto nell’ambientazione geopolitica.
Il vero fulcro dell’opera non sta dunque nei mecha, ma nell’odissea personale e solitaria di Chirico, un eroe di poche parole, glaciale e stoico, un perfetto samurai dello spazio. I 52 episodi si articolano in 4 grossi archi narrativi, nei quali Takahashi spazia tra diverse ambientazioni e situazioni, dando fondo a tutta la propria creatività e affrontando temi non banali come il dramma dei soldati al rientro dal fronte, le devastazioni causate dalla guerra o il fanatismo.
In Italia la serie è inedita e poco conosciuta, ma in Giappone ha avuto un enorme successo, testimoniato dalla lunga serie di OAV e spin-off realizzati nell’arco di un trentennio.
4 – PlanetEs (2003-2004, 26 episodi)
Adattamento in 26 episodi dell’omonimo manga di Makoto Yukimura, PlanetEs (プラネテス Puranetesu) vede alla regia Gorō Taniguchi, più avanti papà di Code Geass.
L’opera segue l’equipaggio della vecchia nave spaziale DS-12, che si occupano di ripulire l’orbita terrestre dai relitti di satelliti, stazioni orbitanti e astronavi. Una trama che sulla carta potrebbe sembrare poco avvincente, se non addirittura noiosa, riesce invece ad appassionare sia per la presenza di un background geopolitico curatissimo, con tanto di fazione terrorista che compie atti di sabotaggio spaziale, sia perché la vita a bordo della DS-12 diventa occasione per approfondire i personaggi e per riflettere su grandi questioni esistenziali e filosofiche.
PlanetEs può vantare anche un notevole rigore scientifico, nel tentativo di rendere quanto più possibile verosimili e realistiche le tecnologie presentate, nonché le situazioni in cui i personaggi si trovano ad agire.
In Italia l’anime è stato doppiato e distribuito dalla Beez Entertainment.
3 – Mobile Suit Gundam (1979-1980, 39 episodi)
Non si può parlare dello Studio Sunrise senza citare una delle saghe fantascientifiche più belle e prolifiche della storia, quella dei Gundam, composta da decine e decine di anime, film, manga, romanzi, videogiochi ambientati in molteplici universi narrativi.
Tutto comincia nel 1979, quando il solito Yoshiyuki Tomino crea, scrive e dirige Mobile Suit Gundam (機動戦士ガンダム Kidō senshi Gandamu). Come già successo con Ideon, inizialmente si rivelò un grosso flop, tanto che i 52 episodi pianificati inizialmente furono ridotti a 39. Fortunatamente negli anni seguenti la serie fu rivalutata e diede origine al fenomeno culturale tuttora fiorente.
L’anime è ambientato nell’anno 0079 UC durante la guerra che contrappone la Terra alle colonie spaziali autoproclamatesi principato di Zion. A bordo di un robot sperimentale, il Mobile Suit Gundam, Amuro Ray combatte per la Federazione terrestre, mentre l’abile pilota Char Aznable, col volto perennemente coperto da una maschera, è il campione dei ribelli; tuttavia, dietro la sua apparente fedeltà si nasconde il desiderio di vendetta per la morte del padre sterminando la famiglia Zabi, detentrice del potere a Zion.
Per la prima volta nella storia del genere mecha, Mobile Suit Gundam mette da parte le solite invasioni aliene e porta in scena un conflitto totalmente umano, scaturito da motivazioni politiche. Non c’è una distinzione netta tra buoni e cattivi: entrambe le fazioni in campo hanno le loro nobili ragioni per combattere e persino i membri della famiglia Zabi, pur essendo i veri antagonisti della serie, sono esseri umani con pregi e difetti (tranne Gihren Zabi, lui è marcio fino al midollo, dopotutto indica Hitler come modello positivo da seguire).
Similmente a Zambot 3, anche Gundam offre una visione molto realistica e disincantata della guerra. Per buona parte della serie, Amuro e i suoi compagni a bordo della Base Bianca devono combattere con le unghie e con i denti per la propria sopravvivenza, privi di qualsivoglia sostegno da parte delle forze terrestri. Nei combattimenti non c’è eroismo né epicità, ma solo tanto dramma: ancora una volta Tomino non si risparmia e la serie abbonda di morti importanti, che hanno risvolti decisivi nell’evoluzione caratteriale dei personaggi.
Il primo doppiaggio in Italia risale al 1980 e, come spesso accadeva all’epoca, si prende diverse libertà, compresa l’anglicizzazione di alcuni nomi. Nel 2004 Dynit ha curato un secondo doppiaggio più fedele all’originale.
2 – Fang of the Sun Dougram (1981-1983, 75 episodi)
Prima di Votoms, Takahashi aveva ideato e in parte anche diretto Fang of the Sun Dougram (太陽の牙ダグラム Taiyō no Kiba Daguramu), un’altra delle più ambiziose opere mecha del periodo.
La storia, dietro cui si nascondono palesi rimandi alla Guerra Fredda e alle rivoluzioni latino-americane, ruota intorno alla guerra che oppone la Federazione Terrestre al pianeta Deloyer, da sempre desideroso di ottenere l’indipendenza. Crinn Cashim, rampollo della famiglia del governatore, abbandona gli agi della sua condizione e aderisce alla causa ribelle alla guida del Dougram, un potentissimo prototipo di mecha.
Come si può vedere, qui resiste ancora l’idea del super robot, unico nel suo genere e come tale più forte degli avversari, ma ciò che davvero rende memorabile Fang of the Sun Dougram è l’approccio stilistico e narrativo di Takahashi: la guerra è raccontata con uno stile asettico, freddo, se non addirittura documentaristico.
Ancor più che in Votoms o in Gundam, qui davvero l’elemento robotico passa in secondo piano: spesso il mecha combatte solo negli ultimi minuti di un episodio e lo scontro è tutt’altro che entusiasmante, se confrontato ad altri anime. Il vero fulcro di Fang of the Sun Dougram sta nei confronti verbali, nei giochi di potere, nelle meticolose pianificazioni delle strategie da adottare in battaglia e, ovviamente, nella caratterizzazione dei personaggi, tra i più realistici che siamo apparsi su uno schermo. Ne risulta una serie votata soprattutto al dialogo, verbosa (ma nel senso buono), con una trama che avanza molto lentamente ed esplode solo negli ultimi episodi, ma tutt’altro che noiosa. Forse l’unico altro anime altrettanto profondo e complesso è Legend of Galactic Heroes.
In Italia l’anime è tuttora inedito.
1 – Cowboy Bebop (1998, 26 episodi)
Cowboy Bebop (カウボーイビバップ Kaubōi Bibappu), creato e diretto da Shin’ichirō Watanabe, è un capolavoro sotto tutti i punti di vista: trama, animazione, caratterizzazione dei personaggi, e ovviamente colonna sonora, firmata da grandi nomi del calibro di Yōko Kanno e Steve Conte. Non stupisce che molti lo considerino uno dei migliori anime di tutti i tempi.
I quattro protagonisti sono una ciurma mal assortita di cacciatori di taglie che si guadagna da vivere dando la caccia ai criminali in un futuro prossimo, dal sapore a volte cyberpunk e a volte western: Spike Spiegel, con un passato nella malavita; Jet Black, ex-investigatore; Faye Valentine, una provocante truffatrice; Radical Edward, o semplicemente Ed, giovane e geniale hacker. In realtà sarebbero cinque protagonisti, perché non si può dimenticare la mascotte del gruppo, Ein, un cane di razza Welsh Corgi Pembroke superintelligente.
L’impianto narrativo basato prevalentemente su episodi autoconclusivi consente a Watanabe di sperimentare molteplici situazioni, stili e addirittura generi: non mancano storie strazianti e drammatiche, così come episodi più leggeri, fino a quel piccolo capolavoro della psichedelia che è Mushroom Samba. Tuttavia, man mano che la serie prosegue si delinea anche una trama orizzontale legata ai trascorsi di Spike, alla donna che ha amato e perduto e alla sua nemesi, lo spietato Vicious.
In soli 26 episodi, Cowboy Bebop riesce a offrire un affresco pressoché perfetto e completo dell’umanità, mossa dai soliti bisogni e schiacciata dai soliti problemi nonostante il progresso tecnologico, e a dipingere personaggi indimenticabili, sfaccettati e contraddittori, di cui lo spettatore non può che innamorarsi. E come già detto, la colonna sonora che accompagna ogni episodio è di altissimo livello, un capolavoro nel capolavoro, che con le sue note blues e jazz enfatizza il senso di malinconia e di noia esistenziale che attanaglia i protagonisti.
In Italia l’anime è stato doppiato e distribuito da Dynit, e trasmesso su MTV nel corso dell’Anime Night tra il 1999 e il 2000.
Da Cowboy Bebop è stato tratto anche un film d’animazione che si colloca tra gli episodi 22 e 23, Cowboy Bebop the Movie: Knockin’ on Heaven’s Door, mentre è in lavorazione una serie live action prodotta da Netflix.