“Testolina buffa” è l’antipatico nomignolo che Mamoru Chiba (Marzio in Italia) ha affibbiato alla povera Usagi Tsukino (Bunny).
Un’informazione interessante, ma cosa c’entra la battuta infelice su quell’insolita capigliatura con la cucina giapponese?
Nella versione originale del manga, testolina buffa è in realtà la traduzione letterale di “Odango Atama” (お団子頭), ovvero testa a dango o a polpetta. La pettinatura della paladina della giustizia ha una buffa origine: Naoko Takeuchi, autrice della celebre saga Sailor Moon, era solita legarsi i capelli in due chignon tondi laterali quando doveva studiare in vista degli esami universitari. Un vero e proprio rito.
La Takeuchi ha volutamente dato un tocco autobiografico alla sua opera. In più occasioni, la mangaka ha dichiarato di essersi impersonata nella protagonista. Non ha solo donato i nomi dei propri parenti alla famiglia Tsukino (Ikuko, Kenji e Shingo sono realmente i genitori e fratello di Naoko), ma ha acconciato i capelli di Usagi nella sua pettinatura preferita e “fortunata”. L’autrice studiava presso la facoltà di Chimica e, come ogni studente universitario, trascorreva intere giornate in sessioni di studio. Era solita (e forse lo è tutt’ora) tirarsi su i capelli raccogliendoli in due chignon laterali, un vero e proprio rito dato che considerava quei codini dei veri e propri portafortuna.
E la scelta di donare alla sua creatura, Usagi, la medesima messa in piega con tanto di nomignolo Odango Atama, non è un caso. La protagonista di Sailor Moon è una golosa a livelli mondiali. Vorace, perennemente affamata come Goku o Adam di Man VS Food, Usagi è dotata di uno stomaco dall’invidiabile capienza e di un metabolismo formidabile dato che sfoggia una silhouette perfetta con zero cellulite.
Nei duecento episodi della saga, in almeno centonovanta Usagi ha perennemente le mascelle in movimento. Ironia della sorte o strategicamente studiato, Usagi ha una vera e propria passione per i frappè alla fragola e i… dango!
Che cosa sono questi dango e quante varietà ci sono?
Sono delle polpettine sferiche grandi quando una pallina da golf. Sia dolci che salati, i Dango appartengono alla categoria dello street food e sono facilmente acquistabili sia in piccole rosticcerie che bancarelle, soprattutto durante i vari festival.
- Shiratama dango. I dango classici. Piccoli, sferici e bianchi, questa varietà viene preparata con farina di riso glutinoso. Non sono ripieni, ma la consistenza del dolce è molto morbida tanto che possiamo quasi compararla alla pasta di pane cruda. Al momento della consumazione, il cuoco preme con un dito il dango creando un piccolo buco che verrà colmato con marmellata di azuki (fagioli dolci rossi) o salsa mitarashi (creata dalla salsa di soia).
- Mitarashi dango. È una delle tante versioni del dango classico, detto anche shiratama. Non ci sono grandi differenze se non per l’impiattamento: vengono inseriti ni un bastoncino di legno per dargli la parvenza di uno spiedino. Prima di essere serviti a tavola o venduti, il cuoco li condisce con abbondante salsa mitarashi, un vero e proprio sciroppo ricavato dalla salsa di soia, amido e zucchero.
- Kuri dango. È una varietà di gnocchi consumata nel periodo autunnale. Come i mitarashi, i kuri dango vengono serviti sotto forma di spiedini e cosparsi si salsa alle castagne.
- Hanami dango. Conosciuti anche come Occhan Dango, l’hanami è la varietà più famosa. Questi gnocchi dolci sono un vero e proprio dessert venduti e consumati durante l’Hanami, il festival della fioritura dei sakura. Tassativamente di colore verde, bianco, e rosa, questa triologia di gnocchi dolci vengono serviti o sfusi, o infilati in bastoncini di legno. Per via dell’importanza della numerologia, gli hanami dango vengono venduti in multipli di tre e disposti nell’ordine cromatico citato prima.
L’impasto colorato dei dango viene creato con l’aggiunta di ingredienti in polvere naturali quali il thè verde matcha e sciroppo di agavè. - Tori Dango. Conosciute e diffuse anche in Italia, i tori dango non sono altro che dei veri e propri spiedini di polpette di pollo cosparse da salas di soia, di cipolloti, zenzero o la classica salsa toriyaki.
Questi sono solo alcuni dei tantissimi dango o gnocchi giapponesi. Come avete avuto modo di vedere, i dango non sono solo delle semplici palline di farina di riso, ma anche di carne. Possiamo paragonarle alle polpette nostrane: gli stranieri identificano col il termine meatball (palla di carne) la classica polpetta di carne al sugo, quella della nonna, ignaro della varietà esistente in Italia dove la carne non è sempre l’ingrediente principale.
Polpette di carne (al sugo, fritte, al forno, ripiene), di pesce, di verdura, di ricotta, di melanzane: sono solo alcune delle invitanti varietà che abbiamo, ma per lo straniero saranno sempre e unicamente delle meatballs.
La cucina giapponese in Italia
Come da tradizione milanese, ogni venerdì sera vado fuori a cena in un ristorante giapponese. In questi ultimi anni, grazie anche alla moda per la cucina nipponica, ho soddisfatto il mio stomaco rimpinzandomi di gustosi manicaretti orientali. Tra i vari harumaki, wanton e onigiri, ho avuto la possibilità di assaggiare i dango, di cui ne sono golosissima.
Premetto che la cucina estera che troviamo in Italia ha ben poco a che fare con quella originale. Si sa, il cibo bisogna consumarlo sul posto e quello proposta sulle nostre tavole è stato ampliamente adattato ai gusti locali. Ammettiamolo, in Giappone non farciscono gli harumaki con salmone scottato e philadelphia!
Tre anni fa ho avuto la possibilità di assaggiare la vera cucina giapponese visitando il Japan Pavillion all’Expo 2015, esposizione mondiale sull’alimentazione tenutasi nella mia città. All’interno del ristorante c’erano pochi e sconosciuti piatti nipponici, pietanze inedite ai nostri palati italici. Munita di dovute bacchette, mi sono fiondata sulla ciotola fumante per poi bloccarmi, delusa.
Il sapore del cibo era completamente differente da quello a cui ero abituata. Nella ciotola ho trovato verdure dalla consistenza viscida e spugnosa mentre una fetta di chissà quale vegetale, ironicamente a forma di fiore, galleggiava nel brodo: i cuochi del ristorante Japan Pavillion aveva preparato le pietanze utilizzando gli ingredienti originali importati direttamente dal loro paese, aromi e verdure irreperibili in Italia.
“Ma se ho voglia di cucina giapponese o cinese, come posso soddisfare la mia golosità se gli ingredienti originali non sono vendibili nel nostro paese? Il vero segreto risiede nell’adattamento e corretta scelta di una ricetta che richiede ingredienti facilmente reperibili”
Il piatto che sto per proporvi utilizza alimenti facilmente acquistabili in un qualsiasi supermercato (reparto orientale) o in uno dei tanti market etnici molto diffusi.
Scopriamo uno dei dango più famosi e diffusi in Italia: il Goma Dango (Sesame balls o Jian Dui)
I Goma Dango, conosciuti nel mondo come Sesame Balls o Jian Dui, sono dei dolcetti fritti molto popolari in Giappone. Di origine cinese, questi dolci sono inseriti nei menu dei ristoranti orientali sotto diversi nomi. Uno dei tanti è proprio “dolcetti di sesamo”
Vediamo ora la ricetta per cinque persone.
INGREDIENTI
- 50 gr di farina di riso dolce
- 15 grammi di zucchero (1 tbsp – misura americana)
- 30 ml di acqua
- 30 grammi di semi di sesamo bianco tostati zucchero (2 tbsp – misura americana)
- fagioli rossi dolci (azuki)
- Olio per friggere
PROCEDIMENTO
- Per prima cosa, create una piccola fossetta al centro della farina di riso e aggiungete lo zucchero. Versare circa metà dell’acqua e sciogliete gradualmente lo zucchero.
- Mescolare la farina dal centro verso l’esterno e aggiungete gradualmente il resto dell’acqua. Se l’impasto risulta troppo morbido o troppo consistente aggiungete gradualmente altra acqua. Continuate a impastare fino ad ottenere tutta la farina completamente umida.
- Pulitevi le mani ungendole con poco olio di sesamo e riprendete a impastare il composto fino ad arrotolarlo in una forma cilindrica. Tagliate l’impasto in dieci piccoli pezzi per poi dargli una forma sferica. Questi saranno i futuri dango pronti per essere cotti.
- Afferrate il dango e premete al centro di essa. La grandezza del “foro” deve essere grande quanto la pallina di pasta di anko (uno degli ingredienti principali). Sarà il ripieno del nostro dolcetto.
- Con estrema cura, richiudete il buco in modo che la pasta di anko non fuoriesca dal dango.
Assicuratevi che lo spessore del dango sia uniforme. Purtroppo durante la farcitura con i dango c’è l’alto rischio di richiudere con poco impasto la polpetta, compromettendo la corretta frittura dello stesso. - Una volta richiusi e uniformati, inumidite i dango per poi rivestirli con i semi di sesamo.
FRITTURA
- Riscaldate l’olio in una padella e portate la temperatura a 140-150°C. Per misurare la temperatura esistono dei pratici termometri da cucina digitale. Fate attenzione perché l’olio, ad elevate temperature, schizza e può provocare gravi ustioni. So che può essere un avviso alquanto banale, ma la cucina è dove accadono i peggio incidenti casalinghi.
- Immergete con cura i dango dentro l’olio bollente e armati di bacchette cinesi, ruotateli per dare loro una cottura uniforme.
Le bacchettine, utilizzate ampiamente dagli orientali durante la preparazione dei pasti, sono incredibilmente comode. - Fate cuocere i dango per 4-5 minuti. Per evitare di bruciare i semi e quindi avere dei dolcetti con rifiniture nere, friggete il tutto con la fiamma bassa per poi alzarla verso fine cottura.
- Quando la superficie è bella dorata, posizionateli in una ciotola con abbondante carta assorbente.
- Questo dolci sono buonissimi sia caldi che freddi (li preferisco appena cotti), ma spesso in alcuni locali li scolano male e purtroppo l’olio in eccesso copre il sapore reale del dango. Assicuratevi di scolarli per bene, attendete qualche minuto o cambiate più volte la carta.
Che altro dire? Itadakimasu!