Jeff Lemire è uno degli autori più amati degli ultimi anni tanto dagli appassionati del fumetto indipendente quanto da quelli del fumetto di genere supereroistico.
Capace di spaziare tra produzioni indipendenti, autoriali e blockbuster, lo sceneggiatore canadese ha un lungo elenco di serie nel suo curriculum sia per DC Comics che per Marvel; dopo il suo debutto con l’editore indie Top Shelf sotto la cui egida ci ha regalato perle come Essex County e Il Saldatore Subacqueo e una proficua collaborazione con Vertigo per cui ha sceneggiato e disegnato Sweet Tooth, lo scrittore canadese approda in DC dove lavorando in esclusiva, dà buona prova di sé lavorando a serie importanti come Animal Man, Superboy e soprattutto Green Arrow.
La serie dedicata a Freccia Verde, come è noto dalle nostre parti l’alter ego di Oliver Queen, è stata sicuramente una delle più riuscite a cui ha lavorato, al punto da portarlo subito dopo la sua scadenza del contratto a lavorare per la Marvel.
Tra le serie portate avanti da Lemire, tra cui la controparte Marvel di Green Arrow ovvero Hawkeye, una delle più apprezzate è sicuramente Moon Knight i cui primi numeri sono contenuti in questo Lunatico.
La sua run, infatti, arriva in un momento molto delicato della serie che era stata rilanciata da Warren Ellis che aveva gestito il personaggio in maniera magistrale, accrescendone la popolarità.
Nel suo arco narrativo lo scrittore britannico, curiosamente nato anche lui nella contea di Essex ma nel Regno Unito, aveva parzialmente stravolto lo status quo precedente: scopriamo infatti che Konshu esiste e Moon Knight ne è realmente l’avatar, per cui la schizofrenia che ha sempre contraddistinto il personaggio (come nel ciclo di Bendis di cui ti abbiamo già parlato) viene in un certo senso ridimensionata.
Lemire decide però di ribaltare le carte in tavola, creando una storia in cui il “superproblema” di Marc Spector ritorna a galla, e lo fa in maniera veemente: all’inizio della storia che compone il volume, troviamo il nostro eroe rinchiuso in un manicomio, folle tra i folli.
Gli viene svelato, a suo di elettroshock, che quella che è stata la sua vita finora è una menzogna.
Konshu non esiste e non esiste nessun Moon Knight; Spector è ospitato dalla struttura sanitaria sin dai suoi 12 anni e da allora non ha mai smesso di ripetere la sua verità, che per la dottoressa Emmet è parte della sua fuga della realtà.
Tuttavia, specialmente di notte, Marc sente Konshu che lo spinge a ribellarsi svelandogli che si tratta di un’illusione ordita da Seth, perfido dio degli inferi; alternando allucinazioni in cui vede il personale sanitario come servo della dea del giudizio Ammut a momenti di lucidità in cui sembra credere che sia tutta un’allucinanzione, Spector è sul punto di cedere, quando sprazzi della sua vita precedente emergono tra le frasi e i volti dei pazienti.
Ecco che spuntano infatti Gena, amica del tassista Jake Lockley (una delle identità di Moon Knight), Marlene Alraune, Crawley e l’immancabile Frenchie; la loro presenza scopre del tutto Spector che scopre, salendo sul tetto della clinica, che l’intera New York è profondamente mutata, preda di una tempesta di sabbia incessante e su cui torreggia un’immensa piramide.
Ha inizio una discesa, non solo figurativa, agli inferi che porta Moon Knight ad una rivelazione inaspettata quanto importante, che ovviamente condizionerà il futuro della run.
Segnali di Stile
In questi primi 5 numeri del volume 7 di Moon Knight, la trama intessuta da Jeff Lemire è fitta e intricata, risultando di non facile lettura per i neofiti assoluti della serie, complice il fortissimo senso di straniamento che attanaglia il lettore pagina dopo pagina.
E’ quasi impossibile capire con certezza se quello a cui assistiamo sia reale o semplicemente il frutto di una mente malata e quando saremo pronti a propendere per l’una o l’altra soluzione subito cambieremo idea, semplicemente continuando nella lettura.
Un buon servizio per la riuscita della trama viene reso dai disegni di Greg Smallwood che alterna un tratto sporco e più oscuro, che ricorda Sienkewicz, per le sequenze oniriche e i frangenti in cui la follia di Marc Spector sembra farla da padrona, a tavole più pulite e colorate quando affrontiamo frangenti di (supposta?) normalità.