Tutti conoscono Arsenio Lupin III nella sua versione animata, essendo il protagonista di almeno 5 serie televisive (più una sesta in lavorazione e uno spin-off su Fujiko del 2012), di oltre 30 film per il grande e piccolo schermo oltre che di diversi OAV e crossover con Detective Conan.
Ma quanti conoscono il manga da cui tutto ha avuto origine, e che offre una caratterizzazione del personaggio molto diversa da quella del ladro gentiluomo, simpaticone e burlone visto in televisione?
Lupin III entra in scena
Il capitolo si intitolava emblematicamente “L’elegante entrata in scena di Lupin III” e come quasi tutti gli episodi successivi, era una storia auto conclusiva costruita attorno al furto di un progetto scientifico top secret, in cui erano presentati il ladro gentiluomo e la sua nemesi più celebre e ricorrente, l’ispettore Zenigata. In quelle poche pagine erano presenti già tutti gli elementi tipici delle storie di Lupin III: l’abilità nei travestimenti, le sfide impossibili, l’amore per le belle donne e una componente erotica molto poco censurata.
Questa prima serie, intitolata semplicemente Lupin III (ルパン三世) andò avanti fino al 22 maggio 1969, concludendosi dopo 94 capitoli. Ma era troppo presto perché le avventure del ladro gentiluomo più famoso del Giappone terminassero: Monkey Punch tornò al lavoro con una nuova serie di 35 capitoli (più uno speciale in cui Lupin III spiega al lettore i trucchi del mestiere) dal 12 agosto 1971 al 27 aprile 1972, intitolata Lupin III – Nuove avventure (ルパン三世 新冒険).
I 129 capitoli (130 se si considera anche lo speciale) furono poi raccolti in 14 volumi, da allora noti come “prima serie” per distinguerli dalle successive serie manga portate avanti solo in parte dallo stesso Monkey Punch. In Italia l’opera è arrivata dapprima grazie alla Star Comics, tra il 2002 e il 2003, in un’edizione in 13 volumi contenente solo 120 capitoli; l’edizione integrale in 15 volumi, invece, si deve alla Panini Comics tra il 2016 e il 2017.
Il James Bond del crimine
Tuttavia, c’è una grande differenza: Lupin III non è una spia al servizio di un governo. Né è un giustiziere che ruba ai ricchi per dare ai poveri, come il mitico Robin Hood. Ma non è neppure un vile criminale mosso dalla voglia di ricchezze, visto che i suoi rifugi sono già pieni di oro fino a scoppiare. Lupin è un ladro geniale ed egocentrico, mosso soprattutto dal desiderio di mettersi costantemente alla prova superando sfide impossibili, rubando cose che nessun altro riuscirebbe a rubare. Generalmente non ha scrupoli e se è costretto a farlo non esita a premere il grilletto, ma a suo modo sa anche essere un gentiluomo e segue un codice d’onore non scritto.
Interessante, poi, è il suo comportamento con il gentil sesso: Lupin III non solo stravede per le donne, non solo se ne serve per portare avanti i propri piani, seducendole e raggirandole, ma dà anche vita a situazioni che viste con gli occhi di oggi appaiono chiaramente violenze sessuali, o quantomeno molestie. Certo, il manga di Monkey Punch va contestualizzato, tenendo presente il periodo storico, la cultura di appartenenza (il Giappone non brilla per emancipazione femminile nemmeno oggi e tradizionalmente vede nella donna una proprietà dell’uomo) e anche i toni, che spesso si fanno scanzonati.
Descritto così, questo Lupin sembrerebbe un farabutto della peggior specie, eppure riesce lo stesso a risultare un personaggio magnetico, simpatico addirittura. Da un lato ciò è dovuto sicuramente al fascino che il male e i cattivi ragazzi riescono tutto sommato a trasmettere al lettore, dall’altro al fatto che Monkey Punch bilancia dramma e commedia, momenti drammatici e buffi: lo stesso protagonista può apparire serio e implacabile in una vignetta e un paio di pagine dopo ritrovarsi in mutande o finire raggirato come un novellino.
Nel complesso, l’atmosfera che si respira nelle pagine del manga è molto leggera: la violenza non manca, le morti e i ferimenti nemmeno, eppure tutto è raccontato senza particolare enfasi sulla dimensione drammatica, quasi fosse un gioco.
Persino nella rivalità tra Lupin e Zenigata, che dovrebbe rappresentare la classica lotta tra il crimine e le forze dell’ordine, si perde qualsiasi dicotomia tra bene e male, tanto che i due personaggi assomigliano più a quei Tom e Jerry dei cartoni americani a cui Monkey Punch ha ammesso di essersi ispirato.
Amici e nemici di Lupin III
Cosa sarebbe Lupin III senza i comprimari che tutti coloro che hanno visto l’anime conoscono? Eppure, nel manga sono caratterizzati assai diversamente rispetto a quanto avviene sul piccolo schermo.
Zenigata, tanto per cominciare, è meno goffo e maldestro della sua controparte televisiva, più duro e spavaldo. In un certo senso rappresenta la perfetta controparte di Lupin e non è un caso che i loro “duelli”, seppur quasi sempre conclusi in favore del ladro, siano molto accesi e coinvolgenti.
Quanto ai due storici compari di Lupin, il pistolero Daisuke Jigen e lo spadaccino Goemon Ishikawa, duole constatare come nel manga siano due figure tutto sommato marginali, poco presenti e ancor meno incisive. Forse i capitoli più interessanti sono proprio quelli in cui i due sono momentaneamente avversari o rivali di Lupin; come sue spalle, invece, si limitano a un ruolo puramente accessorio. E’ solo nelle serie animate che i due assurgono al ruolo di veri e propri co-protagonisti.
Discorso diverso per Fujiko Mine, che compare ampiamente nella narrazione, ora come complice ora come rivale di Lupin, ora come sua acerrima nemica ora come interesse amoroso. Nata sulla scia delle bond girl che all’epoca facevano sognare milioni di spettatori di sesso maschile (oltre che per la mai celata volontà di Monkey Punch di avere una figura femminile fissa, e non doverne creare una in ogni capitolo), Fujiko riesce a incarnare su carta un’immagine di femme fatale e insieme di donna forte e indipendente, capace un po’ col fascino e un po’ con l’astuzia, e in parte anche sfruttando le debolezze del sesso maschile, a farsi strada in un mondo in mano agli uomini.
Del resto il manga di Lupin III è figlio degli anni della contestazione giovanile e della rivoluzione sessuale, e ancora oggi mantiene inalterata una parte notevole della sua carica eversiva e goliardica.
L’americanità di Lupin III
Monkey Punch lavorò al suo manga più celebre in un’epoca in cui il fumetto giapponese stava costruendo una propria identità indipendente da quella dell’Occidente. Osamu Tezuka aveva dato vita a grandi capolavori ispirandosi allo stile di Disney e Fleischer, ma una nuova generazione di mangaka era alla ricerca di uno stile diverso, più maturo e realistico, che si concretizzò nel genere dei gekiga.
Rispetto a queste due strade, Monkey Punch si pose in una posizione inedita, guardando sì alla tradizione d’oltreoceano, ma a quella dei comics americani: così i personaggi maschili hanno volti allungati e membra strette, mascelle squadrate e robuste, mentre le donne sono un profluvio di curve e rotondità che guarda all’ideale femminile hollywoodiano.
Il manga non è invecchiato male nemmeno sul versante dei contenuti. Certo, i vari capitoli mancano di collegamenti tra loro e spesso, oltre a raccontare storie autoconclusive, sembrano in contrasto gli uni con gli altri. Si ha più volte la sensazione che ogni capitolo sia una storia a sé e che i personaggi siano semplicemente delle maschere a cui di volta in volta Monkey Punch fa recitare ruoli ricorrenti. Eppure proprio in questa mancanza di una forte trama orizzontale si nasconde il pregio maggiore di Lupin III, quel senso di libertà e di avventura fine a se stessa a cui il lettore deve approcciarsi per il puro gusto di leggere qualcosa di travolgente.