Victor Hugo è sicuramente conosciuto da tutti per capolavori immortali come I Miserabili e, ancora di più, Notre Dame de Paris; nell’ampia produzione letteraria dello scrittore e drammaturgo francese, c’è tuttavia almeno un’altra opera che seppur meno conosciuta, merita di essere ricordata.
Si tratta de L’uomo che ride: se a livello fumettistico questo titolo non ti è nuovo, hai ragione in quanto nel 2005 Brubaker e Mahnke scelsero questo titolo per una storia in cui si narra il primo incontro tra Batman e Joker,
Questo perchè in effetti esiste un legame tra l’opera di Victor Hugo e la celebre nemesi del Cavaliere Oscuro, tuttavia più labile di quanto spesso venga citato o si possa pensare. Quando nel 1940, per il primo numero della testata dedicata a Batman, venne creato il personaggio di Joker, il disegnatore Jerry Robinson si ispirò ad un’immagine del film del 1928 con protagonista Conrad Veidt.
Ed in effetti, basta guardare la foto dell’attore, per vedere in lui un vero e proprio antesignano del pagliaccio omicida; tuttavia, le analogie finiscono qui, come vedremo a breve.
Glasgow Smile
Scritto da Hugo durante il suo esilio in Gran Bretagna, L’uomo che ride è ambientato oltremanica e costituisce una attendibile ricostruzione dei costumi della nobiltà britannica nonchè un’accusa all’opulenza dei ricchi, del tutto insensibili ai bisogni, finanche alla povertà, del popolo.
Nel gennaio del 1690, una nave leva l’ancora in tutta fretta, vogliosa di fuggire dalle coste inglesi. Unico passeggero lasciato a terra è un bambino di 10 anni a cui viene impedito di salire a bordo; non passa troppo tempo, che la nave si trova in balia della tempesta ed in procinto di affondare.
Certi che si tratti del castigo divino per i peccati commessi, gli uomini a bordo si abbandonano alla preghiera, non prima di aver affidato ad una bottiglia il memoriale con le loro colpe, nella speranza che li aiuti ad espiarle.
Il bambino, intanto, si allontana nel freddo e in mezzo alla neve incontra prima un impiccato a cui prende le scarpe e poi una donna morta congelata mentre cercava riparo per sé e la figlia neonata. La piccola è ancora viva e, forse proprio a causa della cattiveria umana che ha già provato sulla sua pelle, il ragazzo non può fare a meno di prenderla con sé, coprendola con la propria giacca e cercare un riparo per entrambi.
Giunto nella città più vicina nessuno lo accoglie, finchè non giunge alla roulotte di uno strambo personaggio Ursus, accompagnato dal fido cane lupo Homo (con un evidente riferimento al celebre detto homo homini lupus).
Passano 15 anni e l’improbabile terzetto è diventato una famiglia: il ragazzo, ormai cresciuto si chiama Gywnplaine mentre la ragazza, divenuta cieca a causa del freddo patito, viene chiamata da quello che è a tutti gli effetti il loro padre adottivo, Ursus, Dea.
I tre girano l’Inghilterra proponendo un loro spettacolo, incentrato tutto sulla deformità che affligge Gwynplaine: sin da bambino, qualcuno lo ha ferito, donandogli un’aspetto inquietante e ripugnante ai più, in totale contrasto con la sua vera essenza, che fa sembrare come se ridesse sempre.
Per tutti, Gwynplaine è ormai l’uomo che ride.
Tra i due giovani inizia a sbocciare un tenero sentimento, che Gwynplaine cerca in tutti i modi di soffocare a causa della deformità; quando sembra che i due possano finalmente dichiarare il reciproco amore, si mette in mezzo la contessa Josiane, sorella della regina Anna, che vuole a tutti i costi Gwynplaine per soddisfare le proprie perverse pulsioni.
Tuttavia, il destino decide altrimenti ed una mattina il ragazzo viene condotto presso la vicina prigione. Per sua fortuna non verrà imprigionato, ma viene portato lì per parlare con Hardquanonne, un condannato a morte nonchè scampato miracolosamente alla morte in mare 15 anni prima.
E’ qui che scopriamo al verità su Gwynplaine e sulla sua cicatrice: Hardquanonne e gli altri passeggeri della nave erano dei comprachicos, ovvero delinquenti dediti al traffico di bambini e Gywnplaine è in realtà figlio di Lord Linnaeus Clancharlie, un pari d’Inghilterra che si era schierato con Oliver Cromwell e la sua Repubbllica ed era morto per questo in esilio. L’allora re Giacomo II ne aveva quindi fatto rapire il figlio, cedendolo quindi ai trafficanti affinchè lo rendessero irriconoscibile e lo facessero sparire.
Gwynplaine diventa così Lord Fermain Clancharlie e viene promesso sposo alla contessa Josiane ed introdotto alla Camera dei Lord, che lo investirà ufficialmente.
Proprio in quel frangente Fermain\Gwynplaine esprimerà tutto il proprio disprezzo per la classe nobiliare a cui ora appartiene, che vive come un parassita alle spalle di un popolo che soffre e a cui è totalmente indifferente.
Terminato l’attacco vibrante, non gli resta che tornare da quella che è ormai la sua vera famiglia, ma quello che scoprirà lo porterà ad un destino tragico, che qui non voglio svelarti.
Segnali di Stile
Se la sceneggiatura di David Hine ripercorre in maniera precisa il romanzo di Hugo, andando a limare gli aspetti più confusi dell’originale (si tratta di una delle ultime opere del maestro francese) e restituendoci dei personaggi vividi e tormentati, molto particolare è il tratto di Mark Stafford.
Il disegnatore sceglie uno stile grottesco, che ha l’obiettivo di rendere tutta l’umanità, bassa e gretta all’infuori di Gwynplaine, Dea e Hursus, mostruosa tanto quanto lo stesso fortunato protagonista.
Interessante anche il lavoro fatto sulla mimica facciale di Gwynplaine, per cui possiamo realmente vedere le sue emozioni oltre il ghigno che purtroppo reca sul volto.
Stafford fa anche un uso sapiente dei colori, in base alle situazioni presentate, con la maggior parte dei colori luminosi e caldi riservati ai momenti felici del protagonista, che di solito lo vedono in compagnia di Dea.