Nata dalla penna di Makoto Shinkai, Il Giardino delle Parole è un drama-novel giapponese ambientato nella metropoli di Tokyo. La trama ruota attorno alla vita di Takao Akizuki, un quindicenne che sogna di diventare uno stilista per calzature femminili.
Come ogni adolescente, sta attraversando una crisi interiore che lo spinge a marinare la prima ora di lezione durante le giornate di pioggia per recarsi al Shinjuku Garden National Park.
LA STORIA
L’opera si apre con Takao in metropolitana assorto nei propri pensieri, illustrando al lettore il proprio malessere. Frequenta il liceo da poco più di tre mesi e fa il pendolare. L’idea di dover affrontare questa vita per tre lunghissimi anni lo affligge a tal punto da non tollerare la presenza pressante dei passeggeri.
Con l’arrivo del periodo delle piogge, Takao si assenta spesso da scuola, ma la sua quotidianità uggiosa verrà interrotta dall’incontro con una sconosciuta che, come lui, si reca al parco durante le giornate di pioggia. Comincia così una tacita e piacevole routine. Takao trascorre la sua ora d’aria disegnando modelli di scarpe, la donna tra lattine di birra e barrette di cioccolata. Tra i due si instaurerà una profonda e sincera amicizia che porterà Takao a mettere a nudo i propri sentimenti e paure.
La paura è il filo conduttore dell’opera di Shinkai: paura di crescere, di cambiare, di accettare e affrontare un fallimento. Takao teme di non riuscire a coronare il suo sogno nel cassetto. Yukino non riesce ad affrontare il suo blocco psicologico che la spinge ad assentarsi dal proprio lavoro.
IL ROMANZO
Pubblicato nel 2013 dalla Kadokawa Shoten, Il Giardino delle Parole (言の葉の庭 Kotonoha no Niwa) è un romanzo introspettivo che porta il lettore ad una analisi e riflessione profonda. I temi toccati spaziano dalla solitudine alla paura, dall’alcolismo al bullismo, elementi tipici della fragilità umana.
Shinkai si sofferma sui più piccoli dettagli, come il rumore causato dalla pioggia a contatto con l’ombrello di plastica o l’utilizzo di parole onomatopeiche quando, ad esempio, Yukino apre una lattina di birra. Il lettore si trova così coinvolto a trecentosessanta gradi. Fin dalle prime righe percepisce il reale stato d’animo di Takao. Inoltre, grazie a numerosi flashback focalizzati su importanti e determinanti eventi passati, il lettore può entrare in sintonia col personaggio in esame.
Analizzando il personaggio di Takao, inizialmente vediamo un normale ragazzo poco incline allo studio e svogliato. E’ irresponsabile a tal punto da marinare la scuola e allacciare un’amicizia con una perfetta estranea. Con questi presupposti, l’idea del protagonista non è ottimale, ma grazie ad alcuni flashback, si comprende a pieno le cause del complicato carattere del ragazzo. Il divorzio dei genitori, la depressione e l’alcolismo della madre, il prossimo trasloco del fratello maggiore sono solo alcuni di questi.
STRUTTURA DELL’OPERA
La particolarità di questo romanzo è proprio l’utilizzo dei ricordi evitando quindi scene dove vediamo un personaggio parlare di sé. Takao, per esempio, è un ragazzo molto riservato che non si apre facilmente al prossimo. Un dialogo con un estraneo su sé stesso andrebbe in contrasto col suo carattere chiuso. Basta il rumore della pioggia o lo sfogliare di un libro per rievocare in lui un fiume di ricordi, come la sua prima sbronza.
Se dovessi esprimere un’opinione personale direi che il romanzo è molto intenso e ricco di minuziosi particolari. Ci sono però aspetti riguardo la stesura che mi hanno lasciata un po’ perplessa.
Come anticipato prima, Shinkai fa ampiamente uso di flashback, ma i pensieri del personaggio vengono trascritti in corsivo come parte integrante della narrazione, interamente in terza persona. Un esempio è dato dalla parola “shhhh”, inserita per indicare il rumore di una lattina di birra aperta. Ci sono diversi scrittori di enorme fama mondiale, come Stephen King o George R. R. Martin, che dividono il pubblico a metà, ovvero o li si ama o li si odia, e la scrittura di Shinkai non ne è esente.
La letteratura giapponese è alquanto particolare e ben diversa da quella occidentale. Gli autori sono attenti ai dettagli in modo maniacale. Studiano a fondo la psicologia umana per entrare in diretto contatto con l’animo del lettore così da trasmettere il loro messaggio.
IMPRESSIONI PERSONALI
Quello che ho colto con il romanzo di Shinkai è molto profondo. Nella vita non si è mai felici al cento per cento. Ci soffermiamo sulle piccole cose, come un vestito firmato o il conseguimento di un determinato titolo di studio. Tutto per uniformarci così alla società e non essere considerati come la pecora nera del gregge. Tutti noi abbiamo un sogno nel cassetto, un desiderio che ci rende realmente felici. Il timore, però, di non essere compresi dagli altri, ci fa desistere dal coltivare la nostra vera passione, pertanto condurremo una vita infelice. Questo anche per paura di essere derisi dalle altre persone.
Takao sogna di diventare uno stilista di calzature, ma viene deriso fin dalle scuole elementari. Yukino vuole essere uguali a tutti gli altri, ma non riesce a superare il suo complesso di inferiorità che la perseguita fin dall’infanzia. Infine l’incontro, voluto dal destino, tra due vittime della società.
E dopo quasi trecento pagine, Shinkai chiude l’opera con una nuova immagine, ben diversa dalla triste mattina di pioggia. Takao confeziona il suo primo paio di scarpe femminili e Yukino le indossa, imparando a camminare da sola.
Il Giardino delle Parole: Manga
La trasposizione in manga, pubblicata nel 2013 dalla casa editrice Kodansha, è stata affidata all’esordiente mangaka Midori Motohashi. La trama, diretta dallo stesso Shinkai, presenta una narrazione ad anello. Infatti le prime scene sono tratte dalle battute finali dell’opera mostrando l’intero passato in un lungo flashback fino al raggiungimento della scena proposta nella prima tavola.
Rispetto al romanzo e all’anime stesso, il manga presenta alcune differenze narrative. Per scelte stilistiche o per adattamento dettati dalla casa editrice, la trama è stata in parte alleggerita. Se nel romanzo e nel film comprendiamo fin da subito il carattere riflessivo di Takao, nel manga vediamo un ragazzino scocciato della sua nuova vita da pendolare che si rifugia in un parco per disegnare.
Possiamo definire il manga una versione “light” del romanzo. Un volumetto facilmente leggibile da un pubblico giovane che riesce a trasmettere ugualmente il messaggio di Shinkai. “Non bisogna abbattersi di fronte alle difficoltà della vita”.
COMPARTO GRAFICO
Dal punto di vista grafico, lo stile della Motohashi si presenta molto lineare e pulito. Apparentemente freddo come la maggior parte dei manga degli ultimi dieci anni, l’applicazione dei retini ammorbidiscono l’immagine rendendo l’opera delicata e a tratti eterea, richiamando l’atmosfera uggiosa del romanzo. L’utilizzo del nero, invece, è limitato per pochi dettagli, come i capelli di alcune comparse e la divisa degli studenti, oltre al fuori campo di alcuni ricordi spiacevoli.
Riprodurre e trasmettere su tavola le sensazioni di un romanzo introspettivo e particolare come Il Giardino delle Parole è davvero un’impresa. L ‘autrice però è riuscita con grande dimestichezza a portare a termine il suo intento. Il corretto bilancio tra bianco e grigio con qualche riempimento di nero puro non appesantisce il manga. Al contrario lo rende fin da subito una piacevole la lettura.
Perché è fondamentale, per un disegnatore, usare il giusto riempimento di nero? Come il corretto uso dei tempi verbali per uno scrittore, la scelta dei colori è uno strumento di lettura. Prendiamo brevemente in esame un titolo molto famoso: Death Note.
IMPRESSIONI PERSONALI
Il tema principale di questo manga ruota attorno alla morte e al mondo degli shinigami. Sfogliando le pagine, notiamo come il nero sia il tono predominante delle tavole trasmettendo al lettore sensazioni particolari come l’angoscia. Le sfumature di grigio nel manga Shinkai-Motohashi, non solo ricreano l’atmosfera del romanzo, ma trasmettono la dolcezza, la fragilità e l’ingenuità dei due protagonisti.
Motohashi si sofferma molto sui particolari, soprattutto quelli anatomici. Ad esempio le labbra leggermente truccate di Yukino o i minimi dettagli delle mani e dei piedi; oppure ancora i frequenti primissimi piani degli occhi per cogliere il cambiamento di espressioni e sguardi legati alle emozioni del momento dei personaggi. Nel complesso, consiglio la lettura di questo manga d’autore per i diversi motivi elencati sopra. Ho adorato la resa grafica di questa disegnatrice; in particolare nella cura che ha prestato per i dettagli. Ha fatto sì che l’opera di differenziasse dagli altri titoli ormai standardizzati di questi ultimi anni.
Il Giardino delle Parole: La versione animata
Diretto dallo stesso Shinkai e distribuito nel 2013 da Comix Wave Film, l’anime è un OAV dalla durata di quarantacinque minuti. Rispetto al manga, con la complicità di una splendida colonna sonora, l’OAV è la trasposizione che più si avvicina al romanzo originale. I primi minuti sono focalizzati sulla mattina di Takao che salta la scuola. Il boato di un fulmine, lo sgocciolare dell’acqua dalle foglie degli alberi e lo scricchiolio della ghiaia sotto i piedi del ragazzo, proiettano lo spettatore all’interno della scena. Il character design di Kenichi Tsuchiya si avvicina al delicato tratto della Motohashi.
Particolare è l’attenzione maniacale dei dettagli, come la marca di un coltello impresso sulla lama, la finitura lucida della maniglia. Altri esempi invece sono dati dalle diverse marche di birra e dai flaconi dei cosmetici. Ho apprezzato appieno il realismo del film. Una delle scene che ho amato in particolar modo è stata quella panoramica del Shinjuku Park dall’alto; è un’oasi felice verde e rigogliosa all’interno di un freddo mondo di cemento.
Potrei trascorrere ore intere a lodare la realizzazione grafica del film, però come ogni opera, ci sono alcuni punti negativi.
Ha portato veramente qualcosa in più il 3D?
Sempre a livello personale, ho trovato sgradevole l’uso improprio del 3D. La grafica è piacevole e fluida, la tridimensionalità di alcuni particolari, come la superficie del lago increspata dalla pioggia, è una vera e propria nota stonata.
Il giardino delle Parole non è l’unico anime rovinato in parte dal 3D, basti pensare al recente Sailor Crystal. I fan, amanti della saga, sono insorti davanti alle trasformazioni delle paladine della giustizia interamente realizzate in 3D. La seconda e ultima nota negativa invece riguarda proprio la trama. Shinkai ha modificato l’intera sceneggiatura adattandola ad un film della durata di soli quarantacinque minuti. La trama è intensa, profonda, ma si sente la mancanza di qualcosa. Sarà forse dovuto alla brevità del film o ai tagli effettuati, ma durante i titoli di coda, ci si chiede “tutto qui?”.
Il manga si conclude con Yukino che indossa le scarpe realizzate da Takao. Nel romanzo il ragazzo ha un tacito appuntamento con la donna, la vede sorridere e conclude l’intera opera con la frase “Quando sorrise, sembra la pioggia quando smette”. Nel film non cogliamo questa sfumatura che qui di seguito vi svelerò. Le scarpe e la pioggia simboleggiano la rinascita, la rivincita mentre nell’animazione vediamo solo Takao che si reca da solo al parco portandosi dietro le scarpe per Yumiko.
Con questa affermazione non voglio sconsigliare il film, anzi. lo Lo consiglio caldamente soprattutto a chi sta attraversando un periodo di conflitto interiore e ha bisogno di un paio di scarpe speciali per imparare a camminare.
IMPRESSIONI PERSONALI
Noi esseri comuni abbiamo potuto apprezzare Il Giardino delle Parole di Makoto Shinkai in tutte le sue trasposizioni. Che si tratti di un libro, di un fumetto o di un film d’animazione, per un artista l’opera è più di un semplice lavoro: è la sua creatura. Quando prendo la penna in mano e comincio a scrivere, provo le emozioni dei miei personaggi prendere vita attraverso semplici lettere impresse su carta.
Quando disegno, il mio più grande amore, non imbratto della cellulosa con semplice pigmento. Ad ogni tratto di grafite, di china o pennello sorrido, interagisco e parlo con la mia creatura perché, se per un estraneo quel lavoro è solo un disegno, per me è un frammento della mia persona, della mia anima.
Questi sentimenti sono gli stessi che ha voluto trasmettere Shinkai con il suo capolavoro. Il regista ha impegnato anima e corpo. Ha lavorato non solo sul libro, ma ha voluto essere completamente partecipe e autore delle due trasposizioni.
Nel romanzo Shinkai ha plasmato tutti i suoi “figli”. Li ha creati e sviluppati a trecentosessanta gradi. Onde evitare spoiler, mi focalizzerò solo su un personaggio non protagonista, il fratello di Takao. Nell’anime e nel manga vediamo un ragazzo adulto alle prese con un trasloco. Nell’opera narrativa, invece, il personaggio viene ampiamente approfondito. Ci viene mostrato il suo vissuto, il rapporto che ha con la propria fidanzata e il lavoro. Shinkai ci illustra parte della sua routine, momenti di vita che noi stessi abbiamo in parte vissuto; mentre ci svela la fragilità di un ragazzo apparentemente forte e maturo.
Per concludere, con Il Giardino delle Parole ho ritrovato quel gusto verso la lettura ormai persa da tempo. Negli ultimi anni, sia l’animazione che la pubblicazione di manga era insapore, interamente focalizzata sul puro marketing: una bella copertina, grafica accattivante e trama priva di sostanza.