Si tratta di una storia leggermente diversa dalle altre, che vede tra i protagonisti due personaggi già apparsi in precedenza nel racconto breve Febbre, pubblicato nel 2014 (anno precedente all’uscita del romanzo): il conte Romualdo di Roccaspina e la moglie Bianca.
In Febbre, il delegato della regia polizia si trova ad indagare sull’omicidio di un assistito, ovvero una persona che si riteneva avesse un contatto con il mondo dei morti e potesse interpretare sogni e messaggi traducendoli in numeri del lotto.
La febbre a cui fa riferimento il titolo era infatti la febbre del gioco, oltre che quella amorosa che aveva causato il delitto; nello svolgimento della storia uno dei sospetti era per l’appunto Romualdo di Roccaspina, nobile decaduto che aveva dilapidato tutto il suo patrimonio con il gioco d’azzardo.
Ritenendolo un personaggio interessante, insieme alla moglie, De Giovanni decise dunque di ripescarlo per Anime di Vetro, stravolgendo al tempo stesso la struttura classica delle indagini del commissario Ricciardi.
Si tratta infatti di un romanzo in cui il Fatto è per una volta quasi del tutto assente, ed è questa tregua che consente a Ricciardi di indagare al meglio sui sentimenti altrui e sui propri.
Inoltre, proprio con Anime di Vetro, De Giovanni termina il ciclo delle stagioni e inizia quello delle canzoni, che per certi versi ispirano elementi del romanzo. In questo caso, la canzone che leggiamo nel corso della storia e Palomma ‘e notte, termine napoletano che indica la falena, che nel suo narrare di un uomo che cerca di scacciare una falena per non farla bruciare dalla fiamma di una candela riecheggia la rinuncia all’amore che Ricciardi fa quotidianamente per salvare tanto l’amata Enrica quanto la bella Livia Lucani.
L’omicidio oggetto di Anime di Vetro è infatti un caso chiuso, potremmo quasi definirlo un “cold case”: qualche tempo dopo gli eventi narrati in Febbre, il Conte di Roccaspina si dichiara colpevole dell’omicidio dell’avvocato Piro, suo importante creditore.
Tutto sembra svolgersi da manuale con una lite per la dilazione di un pagamento negata, la confessione unita a movente e mancanza d’alibi, elementi che hanno portato la Regia Polizia a chiudere, forse troppo frettolosamente, il caso; tuttavia la Contessa Bianca è fermamente convinta dell’innocenza del marito, che pure non ama più da anni, e chiede a Ricciardi di portare avanti un’indagine privata per scoprire perchè si sia autoaccusato e per capire se sia possibile scagionarlo.
Questa insolita richiesta viene fatta dalla Contessa all’unica persona che ritiene degna di fiducia e moralmente integra, più per comprendere le ragioni del gesto che per un’effettiva voglia di giustizia. Naturalmente Ricciardi non si sottrae al compito che gli viene assegnato, consapevole di come il tempo trascorso dall’omicidio faccia si che non sia possibile ricorre al Fatto.
Anzi, probabilmente, il dovere contare solo sul proprio acume investigativo è il motivo che più di tutti spinge il Commissario ad indagare, con il fido Maione sempre al suo fianco.
Nasce un’indagine che porterà Ricciardi a confrontarsi con il suo ambiente di nascita, quella nobiltà che spesso è ammantata di ipocrisia sotto la quale si cela una profonda miseria economica e di costumi in cui difficilmente le cose sono come appaiono.
A complicare il quadro della situazione ci pensa il Conte di Roccaspina che interrogato da Ricciardi conferma da un lato la propria volontà di addossarsi un omicidio che appare sempre più improbabile abbia compiuto, mentre dall’altro lato manifesta l’intenzione di uscire di prigione prima possibile.
Questo insolito comportamento, unito ad altre stranezze emerse durante gli interrogatori ai familiari della vittima, portano Ricciardi a intuire la verità dietro l’apparenza: Romualdo ha deciso di sacrificarsi non per salvare quello che resta della vita della moglie, ma per un’altra donna della quale è innamorato.
Si tratta di un amore fugace, consumato nella clandestinità e senza futuro, ma per il quale il Conte decide di rinunciare a tutto pur consapevole del nulla che lo aspetta.
Una storia atipica quella di Anime di Vetro
L’atipicità dell’indagine, che essendo informale potrebbe causare qualche guaio tanto a Ricciardi quanto a Maione, consente a De Giovanni e quindi allo stesso Commissario di ragionare sulla propria, inesistente, vita privata oggetto di preoccupazione dell’amico anatomopatologo Bruno Modo e del brigadiere che vede in Ricciardi quel figlio poliziotto ucciso in servizio anni prima.
In Anime di Vetro, dove le anime fragili sono tutte quelle che soffrono per amore, si apre una sorta di spartiacque per la vita di Ricciardi: ancora sofferente per la morte dell’amata Tata Rosa, decide di chiudere definitivamente con la bella Livia che accecata dal dolore gli rivolge un’accusa altamente infamante (e pericolosa) per l’epoca fascista e al tempo stesso cerca di capire se il legame che unisce la sempre più insignificante Enrica al soldato tedesco che ha visto baciarla sia profondo o se possa coltivare qualche speranza.
L’amore è quindi il motore di tutte le vite che si intrecciano nella storia ed è quello che, in definitiva, trionfa alla fine del racconto, che lascia Ricciardi con una maggiore consapevolezza e fiducia nel futuro e una nuova amica nella figura di Bianca di Roccaspina.
Scopriamo pure che la bizzarra Nelide è, come la madre del Commissario, in possesso del medesimo dono\condanna che la porta a parlare con Rosa come se l’anziana tata fosse ancora viva ed in grado di dispensarle preziosi consigli.
Possiamo quindi dire, a ben vedere, che Anime di Vetro è un capitolo importante nella storia del Commissario Ricciardi, in quanto completa il cambiamento dello status quo iniziato con In fondo al tuo cuore (di cui trovi la recensione qui).
La sceneggiatura di Claudio Falco ricalca in maniera abbastanza fedele il romanzo originale, mentre a Luigi Siniscalchi tocca il compito di portare avanti quello che è ormai l’inconfondibile stile grafico che contraddistingue la serie dedicata al Commissario Ricciardi.
Siamo in presenza di un tratto preciso ed estremamente realistico, caratterizzato dalla colorazione seppia, che si uniforma alle uscite precedenti e riesce a rendere in maniera asciutta tutte le emozioni che da sempre costituiscono il nucleo pulsante delle avventure del Commissario Ricciardi.
Anche in questo caso, infatti, non patiamo il fisiologico cambio di disegnatore e il mondo di Ricciardi è perfettamente riconoscibile così come i personaggi principali che mantengono le fisionomie a cui ormai siamo abituati.