Golden Kamuy, il manga seinen di Satoru Noda edito in Italia da J-Pop manga, non narra soltanto un’avvincente avventura alla ricerca di un tesoro, ma consente di avere un assaggio di parti della storia giapponese meno main stream.
Di storie ambientate durante il Giappone imperiale, oppure medievale (di solito quelle piene zeppe di samurai che combattono tra di loro, per capirci), o ancora nel periodo pre e post-bellico in riferimento alle Guerre mondiali, ne vengono in mente a bizzeffe. Tuttavia, la guerra che il protagonista, Saichi Sugimoto, ha combattuto non è tra le più note ai più: si tratta della guerra russo-giapponese, infuriata tra il 1904 e il 1905. La causa? Contese territoriali (stranamente eh): a causa delle vittorie in scontri precedenti (il Giappone Meiji era molto diverso da quello attuale), il Giappone all’epoca controllava sia la Manciuria, sia territori coreani, cioè tutte zone in cui anche la Russia aveva un grande interesse a piantare la propria influenza.
La cosa scioccante fu, però, il risultato dello scontro armato: il Giappone, questo piccolo Paese praticamente appena nato, situato alla periferia del mondo, riuscì a sconfiggere l’Impero russo, una delle maggiori potenze europee e, soprattutto, bianche (siamo ancora nel periodo del Colonialismo, quindi i popoli non “occidentali” se la passavano tutto fuorché bene).
Ecco, questa è la guerra che Sugimoto combatté: moderna, feroce, senza esclusione di colpi. E localizzata in alcune aree specifiche: per mare, e nei territori dell’odierno Hokkaidō (quella più a nord tra le quattro isole giapponesi principali). E in Hokkaidō l’ex-soldato rimane a cercar fortuna, con risultati discutibili, fino a quando non s’imbatte in quella che sembra quasi una leggenda: un enorme tesoro nascosto, e una mappa di tatuaggi per trovarlo.
Siccome, però, il personaggio principale non può affrontare l’impresa da solo (soprattutto in un territorio che ha più tratti climatici in comune con Vladivostok che con Tōkyō), molto presto Sugimoto s’imbatte in Asirpa, una giovane cacciatrice che appartiene a una tribù del popolo locale, gli Ainu.
Gli Ainu in Golden Kamuy: introduziamo il tema
“E chi sono questi Ainu?” forse ti starai chiedendo. Ainu è il nome collettivo (fonti giapponesi del 1500 ne individuano tre diversi sottogruppi) della popolazione autoctona che abita (anche se sarebbe meglio dire abitava) i territori Hokkaidō, parte dell’isola di Sachalin (oggi Russia, ma un tempo anche giapponese) e delle isole Curili.
Gli Ainu erano esperti cacciatori, pescatori e raccoglitori. Con usi differenti rispetto a quelli delle popolazioni delle altre isole del Giappone, visti come barbari e arretrati, pian piano furono spinti sempre più a nord (è sott’inteso non in modo pacifico), fino a quando non giunsero a insediarsi nei territori citati sopra.
E fino a qui tutto abbastanza bene, se non fosse che durante i secoli, diciamo dal 1400 in poi, l’ingerenza del clan Matsumae, a cui erano stati assegnati i territori a sud dell’Hokkaidō dal governo centrale, nonché il compito di proteggere i confini dell’impero dagli Ainu (e dai russi), non cominciò a essere sempre più pressante. Gli scambi, che in principio avvantaggiavano entrambe le parti, finirono pian piano per essere quasi esclusivamente a favore del clan; e sebbene alcune rivolte armate tentarono di riequilibrare la situazione, i risultati non furono poi così eclatanti.
Tuttavia, l’assimilazione vera e propria dell’Hokkaidō e delle sue genti iniziò in maniera massiccia a partire dal 1868, con la Restaurazione Meiji. Pensa che il governo giapponese invitò come consiglieri cittadini degli Stati Uniti che si erano occupati della colonizzazione del Far West. Funzionava all’incirca così: se tu e la tua famiglia acconsentivate a stabilirvi in Hokkaidō (distante da tutti i centri, e con una natura alquanto selvaggia), il governo vi avrebbe dato terre e denaro.
Il passo successivo, intensificatosi soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, fu una quasi completa e capillare assimilazione del popolo Ainu all’interno del tessuto sociale giapponese. Niente tradizioni specifiche, niente usci e costumi tramandati da generazioni, men che meno tatuaggi rituali e insegnamento del proprio idioma. Gli Ainu finirono per scovlgere i lavori più umili, e ad avere un tasso di alfabetizzazione minore rispetto agli altri abitanti dell’Hokkaidō.
Solamente nel 2019, con l’Ainu Policy Promotion Act, sono state messe in campo, da parte del governo centrale, una serie di misure che possano consentire alle tribù Ainu rimaste (pochissime) di ristabilire il proprio patrimonio culturale e tradizionale.