La Getter Saga è una delle epopee robotiche più longeve, famose e amate in Giappone. Nata nel 1974 con il manga Getter Robot, ideato da Gō Nagai e disegnato da Ken Ishikawa, è proseguita per quasi cinquant’anni sfornando altri fumetti, serie animate, OAV e persino film cross-over con altri mecha nagaiani.
Tra i prodotti derivati, spicca la serie OAV in 13 episodi Chenji!! Gettā Robo Sekai Saigo no Hi, nota in Occidente anche coi titoli Getter Robot Armageddon e Getter Robot – The Last Day. L’anno è il 1998 e la direzione dell’opera viene affidata a Yasuhiro Imagawa, sceneggiatore e regista che aveva già lavorato a un ambizioso anime mecha del calibro di Giant Robo. Purtroppo, il risultato finale non sarebbe stato all’altezza delle aspettative…
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Getter Robot – The Last Day: la trama
La Terra è appena uscita vittoriosa da una sanguinaria guerra contro alieni mutaforma che hanno colonizzato la Luna, ma il principale artefice della vittoria, il professor Saotome responsabile della scoperta dei raggi Getter, viene misteriosamente assassinato dal pilota del Getter Robot, Ryoma Nagare, apparentemente senza motivo. Qualche anno dopo, però, Saotome ricompare vivo e vegeto e dichiara guerra all’umanità intera, così come ritornano all’attacco gli alieni che sembravano sconfitti. Per salvare nuovamente il pianeta, Ryoma viene scarcerato e si riunisce ai vecchi compagni di battaglia, ma un disastro atomico devasta la superficie terrestre.
L’azione si sposta dunque nel futuro post-atomico. Kei Saotome, la figlia del professore, unisce le sue forze a quelle dell’umano artificiale Go e dell’amico Gai e, sotto la guida dell’ex-pilota del Getter Robot Hayato Musashi cerca di salvare ciò che rimane dell’umanità. Ma la minaccia che lei e i suoi compagni devono affrontare è più grandi quanto immaginino, e per tenerle testa serverà il ritorno in campo dello stesso Ryoma, dato per morto per anni. Resta comunque il rammarico di non aver potuto assistere a ciò che Imagawa aveva in mente fin dall’inizio e il lieve fastidio di veder colmati alcuni buchi di sceneggiatura con soluzioni tirate per i capelli.
Una produzione travagliata
Un’altra caratteristica dei primi episodi è il ritmo: serrato e incalzante, senza pause né tempi morti. Lo spettatore si ritrova catapultato in un contesto completamente nuovo e la sceneggiatura si lascia andare a pochissimi spiegoni, accumulando misteri su misteri col risultato di alimentare ulteriormente l’interesse nella visione.
E’ a questo punto, però, che si consuma il dramma. Per motivi mai chiariti, Imagawa fu allontanato dalla produzione e la direzione della serie passò a Jun Kawagoe, mentre l’impostazione della narrazione tornò su binari più tradizionali e prevedibili. Addirittura vi furono maldestri tentativi di retcon, come quella che riguarda il figlio del professor Saotome, Genki, che dall’episodio 4 si rivela essere una ragazza. Ma la lista delle cose lasciate in sospeso o risolte con trovate che cozzano con quanto avrebbe presumibilmente fatto Imagawa è lunga.
Sia chiaro, questo non significa che gli episodi 4-13 siano brutti o mediocri, anzi: anche sotto la nuova direzione, Getter Robot – The Last Day si rivela una produzione matura, iper-cinetica e iper-violenta, con uno stile che omaggia maggiormente quello dei manga della saga e un crescendo di epicità che raggiunge il culmine nella battaglia finale, in cui vengono coinvolti interi piani e altre dimensioni.
Un esperimento sontuoso sul lato tecnico
Il tratto di disegno è cupo e oscuro, dettagliato e adulto, ma quello che colpisce soprattutto è il design dei mecha e dei mostri alieni, squisitamente fedele a quello di Imagawa e Nagai. Se già il modello del Getter Robot appare meno bambinesco e infantile di quello della serie televisiva del ’74, il design dello Shin Getter Robot è semplicemente stupendo, con la sua silhouette demoniaca e il suo aspetto minaccioso. Sembra di risentire le parole di Nagai a proposito dell’altro suo celebre robottone, il Mazinger Z, che poteva essere un dio o un demone a seconda dell’uso che ne veniva fatto dagli umani. E altrettanto splendidi nella loro gigeriana orripilanza sono i mostri alieni, usciti dritti dritti da alcuni vecchi lavori di Imagawa come Majū Sensen e Kyomu Senki.
Travolgenti anche le musiche, firmate da mostri sacri del panorama nipponico: la colonna sonora è di Yasunori Iwasaki ma a spiccare sono soprattutto le due opening, la militaresca Ima ga Sono Toki daIchiro Mizuki di JAM Project (un veterano delle sigle di anime mecha) e Heats degli (gruppo fondato dallo stesso Mizuki insieme a Hironobu Kageyama).