Il primo volume di Futagashira era stato una piacevole sorpresa. In realtà non completamente inaspettata, visto che Natsume Ono aveva avuto già modo di farsi conoscere con titoli interessanti del calibro di House of Five Leaves, ACCA:13-ku Kansatsu-ka, e Ristorante Paradiso. Il secondo si rivela, invece, un’altrettanto piacevole conferma.
Il punto della situazione
Delusi e amareggiati, i due si mettevano in viaggio per farsi un nome per conto proprio e, chissà, creare una loro famiglia di yakuza. Prima tappa del viaggio Hiratsuka, sede di una bisca clandestina ai danni della quale i due riuscivano a compiere un bel colpo, nonostante la contemporanea rivolta dei contadini vittime della bisca stessa.
Affidato il malloppo a una locanda che fungeva anche da covo di bandini, i due si dirigevano ancora più a ovest…
Nuove disavventure
Il volume si apre con il solito siparietto tra i due protagonisti, visto che l’opera si configura come una versione manga dei buddy movies e le interazione fra Benzō e Sōji sono d’obbligo. Ma subito emerge un nuovo problema: i due si imbattono in un samurai moribondo. Come se non bastasse, scoprono che la regione che stanno attraversando è sotto il controllo dei funzionari e che l’unico modo per raggiungere la loro destinazione, la capitale Edo, è avere dei lasciapassare.
Più avanti, i due iniziano finalmente a mietere i primi successi, perché ottengono la stima di alcuni aspiranti sottoposti. Eppure, la partita con la Akame è ancora aperta e finché non sarà conclusa Benzō e Sōji non si sentono ancora pronti a diventare essi stessi capi di una cosca yakuza: il viaggio verso ovest prosegue.
Futagashira: storia di due delinquenti d’onore
Come nel primo volume, anche qui il carattere di Benzō e Sōji si delinea poco a poco, configurandoli come due criminali di buon cuore, tutto sommato, e soprattutto onorevoli.
Emblematico è l’episodio del pettine del samurai, che i due decidono di andare a consegnare alla sua donna. Potrebbero fregarsene dell’onore, potrebbero affidarlo ad altri, potrebbero venderlo, e invece decidono di proseguire in questa missione. A un certo punto, uno dei due dice: “Se dopo aver visto morire quell’uomo avessimo affidato questo pettine a qualcun altro, non saremmo stati degni di essere considerati uomini”.
E ancora, poco dopo: “Non siamo poi così diversi dagli altri delinquenti, ma pur nel malaffare faremo in modo di evitare altre morti, costi quel che costi”.
Il tema dell’onore, che a noi occidentali può sembrare astruso e persino stupido a volte, ricopriva un ruolo fondamentale nella morale del Giappone, anche al di fuori della cerchia dei samurai; ed è per questo che due delinquenti come Benzō e Sōji possono rivelarsi, inaspettatamente per noi, un po’ meno per il pubblico nipponico, uomini d’onore.