Salve iCrewPlayer, e benvenuto ad una nuova puntata di Otakult, la rubrica che fa leva sul tuo mondo sfruttando il miglior punto d’appoggio possibile: la nostalgia per l’Arte ed il Bello. Oggi il menu prospetta una vera chicca, roba da leccarsi i baffi un paio di volte più del preventivato. Sto parlando di City Hunter, creatura nata dalla matita di Tsukasa Hōjō nell’ormai lontano 1985, divenuto successo di fama mondiale spopolando, oltre che in Giappone, negli Stati Uniti, in Francia e ovviamente anche qui in terra italica.
Ryo Saeba: eroe anticonvenzionale
Innanzitutto, pur nel suo avere, come tutti i suoi comprimari del resto, tratti stilistici decisamente occidentali (complice l’ispirazione anche di un collega/amico come Tetsuo Hara, co-autore di Ken Il Guerriero), il nostro investigatore privato dal grilletto facile si dimostra giapponese fin dal midollo nel suo modo di porsi contro una società fitta di convenzioni e di schemi, dominata da un sottobosco criminale variopinto e tinto da un velo appena accennato di virtù.
In altre parole, il mondo di City Hunter è popolato da personaggi spietati e pericolosi da ambo i lati, ma solo chi vive a contatto con la società vera, quella dei poveracci che restano schiacciati tra gli ingranaggi di un’economia spietata e senza scrupoli, può essere onesto con se stesso fino in fondo e divenire un giustiziere non ufficiale, che arriva a punire chi merita dove la Legge fallisce. Se poi, incidentalmente, chi viene a chiedere aiuto all’Agenzia Investigativa XYZ è anche una stangona con la quinta abbondante, non sono nessuno per farne una colpa al nostro eroe; chi invece ne fa una colpa è Kaori Makimura, socia in affari di Ryo!
KAORI MAKIMURA
Controparte ragionevole con calcolatrice (e martellone placa-bollori) alla mano, Kaori è la sorella minore dell’ex socio in affari di Ryo, assassinato in circostanze misteriose e che ha affidato al collega il compito di proteggerla. Vista l’innata pigrizia e i continui atteggiamenti da maniaco del partner, è lei a tenere le redini finanziarie ed organizzative dell’agenzia XYZ, dimostrandosi razionale ma ingenua laddove Ryo invece è il contraltare professionale ma schiavo delle pulsioni.
Dietro la facciata, però, tutti notano, prima o poi, l’affetto che li lega, dove per Kaori l’uso spregiudicato di martelli da dieci tonnellate è sinonimo di una gelosia più o meno manifesta verso Ryo, che non manifesta mai del tutto i suoi sentimenti per timore che i suoi nemici possano usarla come ostaggio per arrivare a lui, oltre che per rispetto verso la memoria del suo ex socio.
Al tutto si unisce un cast di comprimari e avversari che, pur posti in un contesto di vita durissimo quale la guerra, la vita da mercenario e la tossicodipendenza, riescono comunque a strappare risate con sketch al limite della slapstick comedy e occasionali infrangimenti della quarta parete (soprattutto nel manga).
PERCHE’ GUARDARE CITY HUNTER?
Direi anzitutto perché Hōjō, nel suo tentativo continuo di dare un quadro realistico dell’eroe alla Clint Eastwood, non disdegna di trovare quegli aspetti caricaturali e quasi deformati che fanno del manga degli anni Ottanta uno dei capostipiti e dei modelli della scuola successiva (non per nulla Takehiko Inoue, autore di Slam Dunk e Vagabond, è stato allievo di Hōjō) e che riescono a inframmezzare a vicende a volte molto pesanti e permeate di tematiche crude (omicidi, stragi, guerra, droga, traffico di esseri umani e prostituzione) scene piccanti o di umorismo spicciolo che non possono non strappare una risata.
Voglio dire, stiamo parlando di un uomo che in una scena si spara attraverso la mano per non infrangere una vetrina e ferire dei civili, e in un’altra magari regge un enorme cubo di metallo grazie alla sola forza della sua erezione (giuro che non mi sto inventando niente). Ci troviamo quindi di fronte a un panorama di vicende calate in una veste di verosimiglianza che, invece di apparirci assurda per le sue lampanti esagerazioni, vive e prolifera nel suo essere “più vera del vero” grazie alla cornice che la circonda.
STRUTTURA DELL’OPERA
Il vero valore di Ryo Saeba e dei suoi co-protagonisti sta nella genuinità, che filtra nonostante tutti e tutto sempre nelle ultime scene di ognuna delle vicende che compongono la loro epopea: Ryo, piuttosto che ridursi a un relitto umano con il suo passato di bambino soldato costretto a drogarsi pur di sopravvivere nella giungla sudamericana, è diventato il City Hunter, per difendere la gente comune ricevendone quasi sempre un pugno di mosche in cambio.
Ryo Saeba, il City Hunter, è come un cavaliere senza macchia alla guida di una Mini Cooper (occasionalmente anche un miticissimo Pandino verde acqua). Come un giustiziere lussurioso ma pieno di rispetto. Un Samurai con la Colt.