Leggendo i titoli degli anime presi in esame, in molti avranno già capito dove si andrà a parare. Inutile nascondersi dietro ad un dito, una delle caratteristiche che piacciono di più al pubblico maschile di manga ed anime è sicuramente (rullo di tamburi…) la VIOLENZA! (mi sembrava giusto scriverlo “violentemente” in stampatello non potendo, per questioni di linea editoriale, usare un font diverso, tipo il chiller). Se nelle produzioni nipponiche, come accade nel cinema, la violenza non è un tabù, ci sarà un motivo. Si sa, l’efferatezza ha un fascino che porta lo spettatore ad essere voyeur di scene crude e sanguinarie. Non si capirebbe, altrimenti, il successo cinematografico della serie Saw o perché il film Hostel abbia fatto parlare tanto di sé. Paradossalmente, pare che le barriere censorie sulla rappresentazione della violenza siano cadute più facilmente di quanto non accada con la rappresentazione, ad esempio, della sessualità.
Prima di passare agli anime dell’odierna rubrica Animania, è giusto provare ad analizzare i motivi per cui possa nascere interesse in episodi violenti ad un punto tale da volerci assistere, da spettatori. Non si considerino verità assolute le considerazioni che seguono. Tutt’al più, le si prenda come delle documentate opinioni da cui si è liberissimi di prendere le distanze (potrebbe essere materia per i commenti!).
Tanto per cominciare, fortunatamente, la violenza e l’aggressività sono comportamenti piuttosto rari, almeno nel mondo occidentale. Dunque, come qualunque cosa che sia rara, è normale che, intorno ad essa, si generi una certa curiosità che, ad una prima occhiata, potrebbe sembrare “malata”. L’immagine di un bambino che puzecchia con un rametto la carcassa di un animale è un’immagine ricorrente che dimostra come in una creatura innocente, come un ragazzino, esista quella pulsione alla scoperta, quella particolare curiosità. Non capita ogni giorno, infatti, di vedere un corpo smembrato di un qualunque essere. Pertanto, insieme al ribrezzo, c’è una pulsione che non fa distogliere lo sguardo dalla fonte stessa del ribrezzo, cercando una risposta a quella domanda a cui i libri di scienze (quelli scolastici) rispondono solo con degli edulcorati disegnini: come siamo fatti dentro? Inoltre, assistere ad episodi di violenza, anche rappresentati da disegni, porta a conoscerli e a dissociarsi da essi senza, tuttavia, farne esperienza reale.
Ma veniamo agli anime
Hokuto no Ken, Tetsuo Hara – 1984
Kenshiro è un combattente della Divina scuola di Hokuto, scuola che insegna un arte marziale ricca di tecniche mortali. Il mondo in cui è ambientata la storia, è un mondo alla deriva, frutto della follia umana che, con guerre e bombe atomiche, ha reso la Terra un desolato deserto post-apocalittico. L’indisponibillità di risorse sufficienti al sostentamento di ciò che resta della razza umana ha fatto sì che l’unica legge che vigesse fosse quella, non scritta, del “più forte”. In questo contesto, si svolge la storia di Ken che, animato da sentimenti positivi e dall’amore per Yuria, si ritrova a reprimere la prepotenza dei violenti sui più deboli, nel suo viaggio alla ricerca dell’amata. Il cammino dell’eroe si intreccerà con quello dei suoi fratelli, Toki e Raoh e di altri combattenti che lasceranno ognuno un segno indelebile nella storia di Ken.
Baki, Keisuke Itagaki – 2018
Hanma Baki è un combattente che nasce e cresce all’ombra dell’uomo più forte del mondo, suo padre, Hanma Yujiro. L’obiettivo di Baki è proprio quello di riuscire a venir fuori dall’imponente ombra del padre che lo generò con l’unico obiettivo di dare un’eredità alla propria forza e, un giorno, esserne sfidato. Yujiro intende perseguire il suo obiettivo cercando di incattivire il figlio e di alimentare l’odio dello stesso verso di sè, ad ogni occasione. Per fare ciò, costringe il giovane Baki a vivere quelli che sono dei veri e propri traumi che faranno da propulsori al desiderio di vendetta parricida. Prima di poter arrivare a sfidare la causa dei suoi tormenti, Baki dovrà prima passare attraverso un lungo e faticoso percorso di preparazione atletica e mentale, costellato da avversari duri da battere.
Con la finalità di avere un confronto coerente alla linea della rubrica, saranno presi in esame l’anime Hokuto no Ken (1984) e il più recente Baki (2018), prodotto da Netflix, sebbene esista una stagione precedente di quest’ultimo, mandata in onda, per la prima volta, nel 2001.
Le ragioni della violenza
Dalle sinossi, si evince ancora più chiaramente quanto la violenza sia un elemento comune di entrambe le narrazioni. Nonostante ciò, le cause che la generano sono di natura diversa.
In Hokuto no Ken, la violenza è solo un mezzo per sopravvivere in un mondo che è ormai troppo duro per i più. La violenza è portatrice di sostentamento e sicurezza personale nonché mezzo per difendere chi non può farlo da sé. In questo anime, la violenza diventa anche l’unica forza risolutrice tra i modi diversi di concepire il mondo. I personaggi principali di Hokuto no Ken, infatti, agiscono spinti ognuno dal suo credo, ognuno da principi che ritiene giusti e che crede fermamente debbano essere estesi alla “nuova civiltà” post-atomica. La stessa lotta fratricida tra il protagonista (Ken) e l’antagonista principale (Raoh) avviene per ragioni principalmente ideologiche. Entrambi i personaggi sognano un futuro migliore ma le loro divergenze nascono su quelli che sono i metodi per raggiugere tale obiettivo.
La violenza in Baki, invece, è il fine. I personaggi principali, spesso, hanno la sola forza motrice nel desiderio di prevalere fisicamente sugli altri combattenti. Anche in questo caso, esistono dei codici che i singoli combattenti seguono ma tali codici nascono e si esauriscono nella sola sfera privata del combattimento e della prevaricazione. Nessuno dei combattenti è mosso da ideali che lo spingono ad agire verso la realizzazione di un bene comune. Nessuno di loro è interessato a temi come la pace nel mondo anzi, a volte, approfittano cinicamente delle zone di guerra per testare la propria forza. Nessuno di loro è altresì interessato alla fama personale. Al contrario di Hokuto no Ken, però, la violenza raramente coinvolge l’innocente e si esaurisce, truculenta, fra coloro che la praticano.
Come viene rappresentata la violenza
Entrambi gli anime lasciano poco spazio alla fantasia, quando si tratta di rappresentare le scene violente. In entrambi, la deformazione fisica o le mutilazioni trovano largo spazio.
In Hokuto no Ken, si manifesta, però, una sorta di doppia morale: mentre la fuoriuscita copiosa di sangue viene spesso censurata sostituendo il colore rosso con un liquido luminoso, i personaggi si dilungano in minuziose descrizioni di ciò che sta per accadere al corpo del proprio avversario, dopo avergli inferto un colpo. Già, perchè le tecniche usate nell’anime di Tetsuo Hara, hanno tutte la particolare caratteristica della “differita”. Praticamente, buona parte delle tecniche di combattimento permette di avere il tempo di una lezioncina di anatomia piuttosto inutile se si considera che al suo destinatario restano “sette secondi di vita“. Inoltre, nei casi in cui venissero toccati dei particolari punti segreti di pressione, presenti nel corpo di un malcapitato, questi morirà orribilmente, deformandosi in maniera innaturale per poi “vedere” esplodere il proprio cranio. Anche in queste scene, persiste la doppia morale: dopo la descrizione anatomica, si accenna visivamente alla deformazione che, in buona parte dei casi, finirà con un’esplosione rappresentata solo come una silohuette del moribondo su uno sfondo monocromo.
In Baki, la violenza è altrettanto inaudita ma ricca di dettagli che vengono valorizzati da apposite slow motions o da close-up delle inquadrature. I denti saranno, quindi, estirpati dalle gengive, gli arti saranno impietosamente tagliati o strappati, le ossa vedranno la luce del sole nel modo meno auspicabile possibile. La censura, durante la produzione di quest’anime, era, evidentemente, in pausa caffè.
La morte
L’angelo della morte aleggia allegramente in entrambe le narrazioni ed ha un gran bel daffare. Egli, spietato, non risparmia nessuno fra le file dei buoni e fra quelle dei malvagi ma il suo operato genera reazioni diverse nei diversi anime.
In Hokuto no Ken la morte porta con sè personaggi che lo spettatore impara ad amare, nel susseguirsi delle puntate, o, quantomeno, a rispettare. Che siano amici o nemici, l’effetto della morte è sempre quello più drammatico. Solo nei casi dei piatti personaggi marginali, viscidi e prepotenti, si assiste indifferenti (o compiaciuti) al suo operato. I villains principali, invece, agiscono tutti con motivazioni articolate che riescono, in punto di morte e dopo una provvidenziale fase di confidenza ed apertura al protagonista, ad avvicinare emotivamente lo spettatore a loro. Non è difficile, in Hokuto no Ken, ritrovarsi a versar lacrime per la morte di un personaggio che si era odiato sino a pochi minuti prima.
In Baki, stranamente, la morte è un evento più raro. Nonostante l’estrema violenza dei combattimenti, infatti, quasi mai questi sfociano nell’eliminazione totale di un personaggio. Tuttavia, come già detto, non mancano mutilazioni che costringeranno un combattente ad una vita meno avventurosa o, addirittura, i casi in cui questi subiscano una morte cerebrale, costretti a vivere da vegetali.
In conclusione
Baki e Hokuto no Ken hanno degli importanti punti in comune, nonostante la distanza, nel tempo, delle due produzioni. Tuttavia, abbiamo visto come, “sviscerando” questi stessi punti di convergenza, appaiano le forti divergenze. Il più recente Baki, come già precisato, mette lo spettatore in un assetto più voyeuristico, con gli occhi puntati sulla scena ma poco coinvolto dal punto di vista emotivo. Nel più datato Hokuto no Ken, invece, lo spettatore si sente al fianco dei personaggi, soffrendo, arrabbiandosi e gioendo con loro.
Complimenti un’analisi accurata non ci avevo mai pensato che Baki e Ken potessero in qualche modo avere dei punti in comune… però ci sta, vedendo il trailer di Baki (ammetto di non conoscerlo, è molto simile….) poi, dai… diciamocelo chi non ama Hokuto no Ken? Uno delle perle miliari dell’animazione giapponese degli anni ’80.
Grazie! Sì, la rubrica “Animania” nasce proprio per cercare caratteristiche comuni e differenze in anime che sono stati prodotti in periodi diversi. Se ti può interessare la visione di Baki, ti consiglio di cominciare dalla vecchia serie del 2001: è molto carina e, soprattutto, è il prequel della stagione prodotta da Netflix, nel 2018!
Complimenti per l’analisi accurata… Ken Shiro è stato l’anime della mia adolescenza, lo guardavo al ritorno da scuola, certo non con spirito critico ma mi trovo d’accordo con la tua analisi. Ora non mi resta che guardare Baki, mi incuriosisce parecchio.
Grazie Valentina! Se vuoi iniziare a vedere Baki, ti consiglio di farlo dalla prima serie del 2001!