Il nome di Gō Nagai è indissolubilmente legato alla sua creazione più celebre, il robottone Mazinga Z, iniziatore del genere mecha che tanta fortuna avrà negli anni e nei decenni successivi.
Mazinga nasce come un manga nel 1972 e come spesso accadeva in quegli anni approda parallelamente in televisione, inaugurando una fortunata saga che avrà come successivi capitoli Il grande Mazinga e UFO Robot Goldrake.
Tuttavia, Nagai non abbandonerà mai questo universo narrativo e continuerà di volta in volta a riproporne nuove incarnazioni, nuove riscritture. Nel 1984 è autore di God Mazinger, che trasporta la storia di Mazinga in un contesto più fantasy e mitologico; segue nel 1990 un’altra rilettura, MazinSaga, la più cupa finora.
Una rivisitazione apocalittica
In MazinSaga la situazione iniziale è molto simile a quella dell’opera originale: Koji Kabuto è un ragazzo giapponese, figlio di uno scienziato, e già nelle prime battute del manga entra in possesso della sua ultima creazione robotica. Qui, però, arriva la prima differenza, perché il Mazinga Z costruito dal professor Kabuto non è un robot pilotabile dall’interno, ma una specie di armatura all’avanguardia costituita da un materiale indistruttibile, la Super Materia Spirituale Z.
Koji indossa il Mazinga Z per salvare il pianeta, ma quando assiste allo stupro della ragazza di cui è innamorato impazzisce dalla collera e finisce per farsi dominare dal lato più oscuro dell’arma. In breve, Koji devasta la Terra così irreparabilmente da costringere i pochi superstiti dell’umanità a fuggire su Marte.
Ed è proprio sul pianeta rosso nell’anno 2120 che si svolge la narrazione da quel momento in poi. Questo si traduce anche in un cambiamento radicale dei vecchi nemici del Mazinga, che non sono più gli antichi Micenei riportati alla luce dal Dottor Hell, ma una razza di misteriosi invasori alieni. Lo stesso Hell è qui trasformato in un’entità praticamente divina, un uomo che ha trasceso i confini della mortalità diventando God Kaiser Hell.
Sopravvissuto per decenni grazie al potere dell’armatura, Koji decide di lasciare la Terra e raggiungere Marte, allo scopo di fare ammenda dei propri peccati e di salvare ciò che resta della specie umana.
Senza freni
Nagai è un autore noto per le sue esagerazioni: nudità, violenza, contenuti sessuali più o meno espliciti, morti disturbanti e ironia graffiante fanno da sempre parte del suo stile. Tuttavia in Mazinga Z questi aspetti emergevano poco, trattandosi di un prodotto rivolto primariamente a un pubblico giovanile.
MazinSaga, invece, è un seinen e di conseguenza permette al suo autore di osare tantissimo. Senza essere troppo espliciti, già il primo volume presenta orge che lasciano poco all’immaginazione, persone fatte a pezzi, crani sfondati e ritrovati tecnologici assurdi, come una nuova versione di Aphrodite A che Sayaka pilota tramite un sistema di controllo neuronale che, per chissà quali astrusi motivi, si infila negli orifizi inferiori della ragazza.
Certo, detto così MazinSaga potrebbe sembrare una saga pornografica, e invece si tratta di un’opera molto profonda. Qui Nagai porta alle estreme conseguenze la dicotomia dio/demone che ha sempre accompagnato Mazinga e che era presente, seppur in maniera molto più blanda, nell’opera del ’72. Il nome stesso del mecha è formato dalle parole ma, ‘demone’ e shin, ‘dio’, a indicare che l’arma può essere usata sia per scopi malvagia sia per nobili cause, a seconda delle motivazioni che muovono il suo proprietario.
In MazinSaga, questa dicotomia è esplorata fino in fondo, mostrando il Mazinga Z dapprima come un’arma di distruzione di massa che devasta la Terra e solo in un secondo momento in una forza al servizio dell’umanità, seppur continui ad apparire minacciosa e lo spettro della perdita di controllo aleggi continuamente su Koji. Per alcuni versi, questo Mazinga è più simile a Devilman.
Anche la caratterizzazione dei personaggi è più matura rispetto alle opere precedenti. Lo si vede soprattutto nel design: se il Barone Ashura, il Conte Blocken e il Visconte Pigman della versione del ’72 visti con gli occhi di oggi appaiono grotteschi, quelli del ’90 sono esseri deformi e disturbanti di cronenbergiana memoria.
MazinSaga: una storia tronca
Purtroppo la pubblicazione di MazinSaga si fermò nel 1992. Nagai non è mai stato nuovo a episodi del genere: spesso ha perso interesse per i propri manga in corso d’opera e li ha chiusi in maniera raffazzonata e sbrigativa, ma nel caso di MazinSaga non si è preso nemmeno questo disturbo, chiudendo con un bel cliffhanger e un sacco di spunti interessanti.
Nel 2012 Nagai rimise mano all’opera per una nuova edizione e affermò, testuali parole, che il sesto volume “chiudeva un ciclo narrativo e ne apriva un altro”. Ma di questo nuovo ciclo, finora, nemmeno l’ombra.
Ed è un peccato, perché con l’introduzione sulla scena di personaggi tratti da altre sue opere, come Duke Fleed (protagonista di Goldrake) e Akira Fudo (protagonista di Devilman), Nagai stava gettando le basi per l’ennesimo brillante crossover delle sue maggiori creazioni, da leggere parallelamente a Devil Lady e a Violence Jack. E invece, per ora almeno, dovremo accontentarci di un’opera tronca.
In Italia MazinSaga è arrivato per la prima volta nel 1999 ad opera di Dynamic Italia, ma l’edizione più recente, pubblicata da J-POP nel 2016, raccoglie in sei volumi tutta la storia con l’aggiunta di nuove tavole e aggiustamenti vari introdotti da Nagai nel 2012.