Legend of the Galactic Heroes (銀河英雄伝説Ginga eiyū densetsu) vide la luce sotto forma di saga letteraria, quando tra il 1982 e il 1987 Yoshiki Tanaka diede vita a una serie di 10 romanzi fantascientifici per la casa editrice Tokuma Shoten.
Sempre nel 1987 si iniziò a progettare un adattamento animato, inizialmente in forma di serie televisiva: ma il nome di Tanaka era poco noto e gli anime tratti da romanzi all’epoca assai rari, per cui si preferì puntare sull’home video con una serie OAV.
Per sondare il terreno fu realizzato un episodio pilota distribuito al cinema nel febbraio del 1988, intitolato Legend of the Galactic Heroes: My Conquest is the Sea of Stars. La buona accoglienza del lungometraggio convinse definitivamente i produttori della bontà del progetto e aprì le porte all’adattamento integrale dei romanzi.
Nacque così la serie OAV più lunga della storia: 110 episodi divisi in 4 stagioni, distribuiti tra il 1988 e il 1997. Alla regia fu chiamato Noboru Ishiguro, già regista di La corazzata spaziale Yamato e Macross, mentre la produzione fu affidata a ben tre studi d’animazione: Artland, Magic Bus e Madhouse. Per la colonna sonora si scelse di utilizzare quasi esclusivamente, ad eccezione delle sigle di apertura e di chiusura, brani di musica classica di autori del calibro di Mahler, Beethoven, Dvorak, Ravel e tanti altri mostri sacri.
Legend of the Galactic Heroes: La trama
Nell’anno 164 del calendario imperiale, la Via Lattea è stata ampiamente colonizzata dalla specie umana ed è diventata teatro di una lunga guerra tra due superpotenze interstellari.
Da un lato c’è l’Impero Galattico, una monarchia plasmata sul modello della Prussia ottocentesca, in cui il potere è nelle mani della decadente dinastia Goldenbaum e di un’aristocrazia molle e viziata, mentre il popolo viene sfruttato e ignorato. Dall’altro lato c’è l’Alleanza dei Pianeti Liberi, fondata da esuli imperiali sugli ideali di libertà e di democrazia. In mezzo una terza nazione, il pianeta-Stato Phezzan, che si mantiene neutrale ma trama nell’ombra contro entrambi i contendenti.
Nelle file dell’Impero c’è Reinhard von Müsel, giovane e ambizioso rampollo di una famiglia nobile decaduta, dotato di un talento insuperabile come stratega e comandante. Battaglia dopo battaglia, Reinhard guadagna importanti promozioni e il nuovo cognome di Lohengramm, oltre a raccogliere attorno a sé altri giovani militari di grande talento, a cominciare dall’amico d’infanzia Siegfried Kircheis; ma quello che in pochi sanno è che il vero obiettivo di Reinhard è abbattere l’imperatore, colpevole di avergli portato via la sorella Annerose anni prima per farne la sua concubina.
Dall’altro lato della barricata si trova l’altrettanto talentuoso Yang Wenli, che sogna di diventare uno storico ed è entrato nell’accademia militare dell’Alleanza dei Pianeti Liberi solo per frequentarne i corsi. Yang aspira a una vita tranquilla insieme al figlioccio Julian Mintz, ma le sue abilità militari non tarderanno a fargli guadagnare un ruolo sempre più importante nell’Alleanza.
Piuttosto rapidamente, Reinhard e Yang diventeranno i due punti di riferimento delle rispettive fazioni: il primo scalerà le gerarchie imperiali e arriverà a covare l’ambizioso progetto di unificare tutta l’umanità sotto il proprio scettro, il secondo si ritroverà suo malgrado a guidare gli Alleati in una guerra per la difesa dell’ideale stesso di democrazia. Saranno rivali, ma proveranno anche un genuino rispetto l’uno per l’altro.
Tuttavia, nella lotta tra le due superpotenze si inseriranno anche il viscido Rubinsky, signore del pianeta Phezzan, e la setta dei Terraisti, fanatici che popolano il pianeta d’origine dell’umanità, oramai ai margini dell’Impero Galattico e abbandonato a se stesso.
Un ambizioso affresco della natura umana
Benché sia una space opera, il fulcro di Legend of the Galactic Heroes non sta nelle tecnologie o nei pianeti immaginati da Tanaka, al punto che se la storia fosse stata ambientata in un mondo medievale o in un’antica Roma alternativa o addirittura ai giorni nostri non sarebbe cambiato molto.
L’opera di Tanaka sfoggia una profondità e un realismo raramente raggiunti da altre opere d’animazione. Nella pletora di personaggi che affolla la scena è difficile trovare figure stereotipate o abbozzate: quasi tutti, dai due protagonisti fino a coloro che ricoprono un ruolo marginale, sono caratterizzati splendidamente. Dietro ogni tradimento, ogni voltafaccia, ogni decisione sofferta, ogni piano criminale ci sono delle ragioni validissime e comprensibili, che si tratti di onore, di ricerca del bene comune o di semplice avidità umana. E persino le azioni più turpi possono rivelare, se non una giustificazione morale, quantomeno una motivazione profonda e fino a un certo punto persino condivisibile.
Nel cast immenso e variegato non è difficile imbattersi in personaggi indimenticabili: accanto ai due protagonisti, Reinhard e Yang, spiccano sicuramente il machiavellico e calcolatore Paul von Oberstein, che dietro la mancanza di scrupoli e la spietatezza nasconde una totale abnegazione allo Stato; il giovane Julian Mintz, destinato a un interessante percorso di maturazione fino a diventare a sua volta un leader; il mite e fedele Wolfgang Mittermeyer e il bel tenebroso Oskar von Reuenthal, cari amici destinati a un ruolo di primo piano nei successi militari di Reinhard; il simpatico Dusty Attenborough, che nonostante l’aria da sempliciotto si rivelerà uno dei migliori comandanti alleati al fianco di Yang; il carismatico Walter von Schönkopf, leader di un manipolo di soldati di origine imperiale che combattono nelle file dell’Alleanza; e la lista potrebbe andare avanti a lungo.
La narrazione si regge soprattutto sui dialoghi e i confronti serrati tra i personaggi, in cui si vanno a toccare temi filosofici e sociali importantissimi: ci si interroga sulla censura, sui diritti umani, sui falsi miti del progresso, sull’eugenetica, sul fanatismo religioso, sul senso dell’onore, sull’etica dell’agire politico, sulla ragion di Stato, sulla propaganda e decine e decine di altre questioni.
E persino quando arriva il momento di menare le mani, Legend of the Galactic Heroes si lascia andare a lunghe disquisizioni sulle strategie militari e sui piani di battaglia, con una dovizia di particolari che trova eguali solo in un altro capolavoro fantascientifico di pochi anni precedente, Fang of the Sun Dougram.
Si potrebbe avere l’impressione, leggendo queste parole, di essere di fronte a un’opera lenta e noiosa, eccessivamente verbosa: niente di più sbagliato! Da un lato, i dialoghi sono piacevoli da seguire, merito tanto della scrittura sopraffina quanto dell’ottimo lavoro svolto dai doppiatori; dall’altro, la trama non risparmia colpi di scena scritti in maniera superlativa, mai forzati, mai inseriti solo per sconvolgere lo spettatore, anche se alcuni lo devasteranno sicuramente, perché vanno a toccare personaggi che sembravano intoccabili o ribaltano rapporti interpersonali ritenuti fino a quel momento incrollabili. Inoltre, quando poi l’azione esplode non si resta delusi: titaniche battaglie tra flotte di astronavi, caccia spaziali che si inseguono tra le corazzate, arrembaggi e persino combattimenti all’arma bianca che danno un ulteriore sapore retrò all’opera.
Un altro elemento che colpisce in Legend of the Galactic Heroes e lo eleva ai massimi livelli artistici è la maturità con cui è trattato il tema politico. Non c’è una presa di posizione nei confronti di questa o quella forma di governo. La monarchia imperiale si rivela efficace perché può calare dall’alto, senza il minimo ostacolo, riforme a favore del popolo, ma dipende troppo dalle capacità del singolo sovrano e, come dimostra la storia della dinastia Goldenbaum, in mano a imperatori incapaci o addirittura crudeli può diventare strumento di oppressione. D’altro canto, la democrazia offre ai cittadini la possibilità di essere liberi e di partecipare attivamente alla vita politica, ma in tempi di crisi è esposta ai colpi di Stato e ai golpe dei militari che possono portare a eccessi tirannici addirittura peggiori di quelli del governo monarchico. Solo alla luce di ciò si può interpretare correttamente il finale della serie, che non vede il trionfo netto di un governo rispetto all’altro, ma la loro coesistenza, lasciando intendere che non esista una formula perfetta e che ogni struttura politica possa avere o meno successo a seconda della situazione storica, delle capacità di chi esercita il potere e delle esigenze del popolo.
Dietro la scrittura dei romanzi e della serie c’è anche, per ammissione dello stesso Tanaka, una solida cultura storica che si manifesta nella sovrapponibilità di personaggi e vicende alla storia reale. La guerra che oppone l’Impero e l’Alleanza può essere vista come una versione galattica della Guerra Fredda o, per la sua durata, della guerra dei cent’anni, con sviluppi successivi modellati sulla base delle guerre napoleoniche. Dietro Reinhard non è difficile individuare un novello Alessandro Magno e nel suo rapporto con Siegfried riecheggia quello tra il condottiero macedone ed Efestione, ma nello stesso tempo la sua scalata al potere partendo dal basso ricorda Napoleone e le sue riforme politiche illuminate rimandano a Federico II di Prussia; Oberstein è un’eminenza grigia spregiudicata à la Richelieu o à la Mazzarino, con un evidente debito nei confronti del pensiero di Niccolò Machiavelli; Yang Wenli potrebbe essere una rivisitazione futuristica dell’imbattuto condottiero coreano Yi Sun-sin; e così via.
Siffatti contenuti sono sorretti da un comparto tecnico di alto livello, con un character design davvero ispirato e animazioni che non deludono nemmeno nelle scene più concitate. Certo, la lunghezza della serie porta a sporadici cali di qualità, ma su 110 episodi è inevitabile. La regia di Ishiguro, già veterano nel campo delle space operas, e la già citata colonna sonora composta quasi interamente da brani classici contribuiscono a sottolineare l’epicità di un’opera che, per ambizioni e complessità, difficilmente trova eguali nell’animazione nipponica.
Un successo che travalica gli anni
In Giappone, Legend of the Galactic Heroes ha ottenuto un enorme successo di pubblico e di critica e ha dato vita a un vero e proprio franchise, che comprende manga, film, videogiochi e persino musical.
Il primo adattamento a fumetti della saga iniziò nel 1986, addirittura prima della serie OAV, e fu portato avanti fino al 2000 da Katsumi Michihara, già illustratrice dei romanzi di Tanaka. Sempre la Michihara realizzò un altro manga intitolato Legend of the Galactic Heroes: Portraits of Heroes tra il 2006 e il 2012. Un terzo manga disegnato da Ryū Fujisaki ha esordito sulle pagine di Weekly Young Jump nel 2015, prima di spostarsi su Ultra Jump nel 2020, ed è tuttora in corso.
Quanto al grande schermo, oltre al film-pilota del 1988 sono stati prodotti altri due lungometraggi: uno del 1992 con uno stile estetico più vicino al manga, e uno del 1993 che riassume e amplia la narrazione dei primi due episodi della serie OAV. Tra il 1998 e il 2000 ha visto la luce anche un’altra serie OAV in 52 episodi che funge da prequel. Va comunque detto che tutte queste opere collaterali non sono fondamentali per comprendere la saga.
Non sono mancati videogiochi tratti dalla saga, tra i quali spicca lo strategico Ginga Eiyū Densetsu del 2008 per PC, e un musical teatrale portato in scena dalla compagnia Takarazuka Revue nel 2012.
Più di recente ha visto la luce un remake animato dallo studio Production I.G. e intitolato Legend of the Galactic Heroes: Die Neue These. La prima stagione è stata trasmessa in televisione nel 2018, mentre la seconda ha visto la luce nel 2019 sotto forma di tre film al cinema. Tuttavia è ufficiale che ci sarà una nuova stagione di 24 episodi.
Purtroppo al di fuori del Giappone la saga continua a godere di scarsa visibilità, dovuta in buona parte al fatto di non essere stata tradotta e doppiata a suo tempo. Basti pensare che la prima edizione inglese dei romanzi risale al 2016, mentre in Italia risultano ancora inediti. Quanto agli adattamenti animati, solo il remake del 2018 è approdato legalmente nel nostro paese, seppur sottotitolato, sulla piattaforma VVVVID.
Si l’ho guardato e lo rivedo spesso.