La Bellezza è incontestabile. La Bellezza è l’Inferno.
La Bellezza è trovarsi a contemplare il suggestivo panorama del nostro Io tormentato mentre attorno a noi è il Vuoto e il Silenzio.
Persino Antonello Venditti (che non è molto il mio genere) valutava degna di menzione canora la sua “autostrada deserta ai confini del mare”, e sebbene in Arizona di mare ce ne sia pochino, le autostrade assolate e solitarie che tagliano il deserto come un bisturi non mancano di certo.
Si sono scavate un tale spazio nell’immaginario collettivo americano da poter assurgere a nuovo argomento per opere letterarie (Kerouac in primis), televisive (Sons of Anarchy, per dirne una), cinematografiche (Easy Rider su tutti, e in certa misura anche quel piccolo capolavoro che è Little Miss Sunshine), con ingerenze artistiche persino nelle opere teatrali. Entrare nell’ambito della letteratura a fumetti era semplicemente il passo successivo, una volta riconosciuta la dignità di media della comunicazione per immagini.
Death or Glory è proprio questo: una storia nata sulla strada, vissuta sulla strada, che non si pone fronzoli di voler insegnare alcunché a noi poveri lettori “borghesi”, se non porci davanti alla semplice, ineluttabile regola che guida, più o meno direttamente, il nostro agire.
La sempre cara e sempreverde Sopravvivenza del Più Forte.
O, nel caso specifico, del Più Infame.
Death or Glory è il prodotto della collaborazione tra Rick Remender e il disegnatore francese Bengal
Edito originariamente da Image Comics e riproposto in Italia da BAO Publishing, Death or Glory narra la vicenda, semplice e tuttavia con ramificazioni da non sottovalutare sia nel passato che nel presente, di Glory Owen, ventisettenne nata e cresciuta sulle desolate strade dell’Arizona. E non è tanto per dire: lei stessa ci tiene a ribadire di essere nata in un autoarticolato, accudita dalla madre e dal padre, che lei chiama semplicemente Red. Mai avuto una casa fissa, mai previdenza sociale, mai assicurazione sanitaria, niente.
Un’altra dei tanti abitatori fantasma delle lande desertiche del Grande West americano, che passano il loro tempo tra motori ruggenti, caldo soffocante e scelte di vita sbagliate, che ignorano il “mondo civile” e che il mondo, finché gli conviene, ignora a sua volta.
Libera da tutto e da tutti.
Non è ignorante, però, questo ci tiene a rimarcarlo: ha avuto un’educazione. Sporadica, scostante, ma l’ha avuta. Non è la classica pupattola da film sui desperados che aspetta solo un uomo per trovare la propria definizione, sempre e solo incentrata sul fisico. Glory Owen è una donna di principio, che sa ciò che vuole, fondamentalmente buona, e che nonostante sia cresciuta in un ambiente non propriamente adatto ai minori si ritrova con una famiglia tra le più larghe, amorevoli e improbabili: camionisti, bariste, cameriere, immigrati clandestini, criminali.
E nel bene e nel male la cosa le sta bene.
Tutto questo però dura finché il Mondo non si ricorda di esigere il tributo per tanta libertà…
Red è malato: cancro al fegato all’ultimo stadio, e ha bisogno di un trapianto il prima possibile.
Purtroppo, in quella giungla di carta bollata che è la burocrazia sanitaria americana, l’operazione ha un costo proibitivo. Per Glory, quindi, rimasta sola col padre dopo la morte della madre e un matrimonio fallito alle spalle, non resta che una soluzione: fare un colpaccio che metterà a rischio la sua stessa vita pur di ottenere il denaro necessario all’operazione.
Farlo, tuttavia, vuol dire pestare la coda al Diavolo. Anzi, a svariati diavoli, non ultimo il suo ex marito Tony, finito impelagato in un traffico illecito tra i più sordidi.
E quando ci si trova davanti a una faccenda di milioni di dollari di valore, spesso e volentieri l’Amore non vince su tutto.
Per niente.
Nel primo volume di Death or Glory, Rick Remender ci mostra uno spaccato dell’anima violenta dell’America suburbana, dove le grandi città e il Mondo in generale vengono a ficcare il naso solo quando gli conviene. Complice anche la sua compartecipazione al mondo della cinematografia (è stato tra gli sceneggiatori di Il gigante di ferro della DreamWorks), la profonda suggestione dei grandi titoli contemporanei on the road si fa sentire eccome anche nei dettagli apparentemente più insignificanti: il killer con l’azoto liquido è chiaramente un richiamo al personaggio di Anton Chigurh, l’assassino con la pistola ad aria compressa interpretato da Javier Bardem in Non è un paese per vecchi, mentre la macchina corazzata di Glory Owen non può non far pensare al Grindhouse di tarantiniana memoria. La scena con Joe il Coreano ha fortissimi richiami a film horror ormai classici come Saw III: La soluzione dell’enigma e l’ancor più leggendario Non aprite quella porta (in originale The Texas Chainsaw Massacre, tanto per non lasciare il West), mentre le strade, i panorami, i diner aperti fino a tardi sono tanti tasselli variegati di quel grande mosaico che è l’America cinematografica on the road.
Questo, tuttavia, non deve far pensare a un’opera che sia necessariamente un calco dai grandi paradigmi del genere, tutt’altro: Death or Glory, sebbene improntata verso una decisissima svolta verso l’azione che lascia poco spazio all’introspezione, non è uno sterile ricalco, ma si mostra come la rappresentazione, scanzonata e terribile, di uno squarcio di Realtà nascosta sotto il grande tappeto del perbenismo sociale americano. La legione degli “inesistenti”, dei non censiti dal mondo “civile”, si pone come una società all’interno della Società, come un assestamento spontaneo della tanto amata e declamata anarchia di Alan Moore.
A contribuire a questo troviamo lo stile luminoso e ricco di colori di Bengal, artista francese tra i più apprezzati in Europa, rinomato per la sua partecipazione a storie di Marvel e DC in testate come Supergirl e Spider-Gwen. Un tale background non stupisce, se si considera la purezza e la ricchezza delle linee del disegno, che riescono a creare ambientazioni e personaggi che dominano la scena senza possedere proporzioni grottesche o esagerate. I personaggi di Bengal sono naturali e spontanei nella loro proporzione, e nondimeno si arricchiscono di un panorama di colori vividi, che non vengono minimizzati neanche nelle scene più truculente o con filtri più freddi. La dinamicità degli inseguimenti in auto, degli incidenti, degli scontri ravvicinati a fuoco e a mani nude sono il contraltare perfetto per la narrazione di Remender.
Se ci sono appunti da fare, in questo primo volume, si può forse parlare di un’eccessiva pecca nell’accelerare sull’azione, che rende il progetto sì godibile, ma privo di quella profondità che ci si potrebbe aspettare in un romanzo a fumetti ambientato nel “nuovo West”, da sempre scenario di ricerca interiore dei protagonisti, specie nella misura in cui ci si trovi davanti la canonica accoppiata “uomo contro società/uomo contro destino”.
Ma, in definitiva, ci troviamo di fronte a un prodotto molto buono, potenzialmente ideale per gli amanti dei grandi cieli blu e delle campiture calde e cromate. Una storia che ha a malapena mostrato i denti al suo pubblico, correndo con un ritmo forsennato verso l’orizzonte e quel “Messico e nuvole” tanto caro a Iannacci e a Giuliano Palma.