“La montagna magica” ritirata dalle scuole francesi per contenuti scabrosi e pedopornografici
Il secondo anniversario della morte del maestro Jiro Taniguchi non è trascorso nel migliore dei modi, e il colpo gli è stato inferto dal Ministero dell’Istruzione Francese, caso paradossale visto che lo stesso governo francese aveva offerto al maestro Taniguchi il titolo di Cavaliere delle arti e delle lettere nel 2011.
L’evento che ha scatenato quest’ondata di censura ha avuto luogo a Fresnes, un comune di circa venticinquemila abitanti situato nella Valle della Marna, nella regione dell’Île-de-France. Tutto è nato dalla segnalazione della madre di uno degli alunni della scuola elementare “Barbara de Marnes”, che ha segnalato al Ministero della Pubblica Istruzione un passaggio a suo dire osceno, bollabile con il marchio infame della pedopornografia.
La storia, ambientata nel 1967, narra le vicende di Ken’ichi, bambino di 11 anni con una famiglia disfunzionale: padre assente, madre in ospedale per una grave malattia, il ragazzo trascorre l’estate con i nonni e la sorellina. Un giorno sarà contattato telepaticamente da una salamandra, bestia magica del folklore nipponico, che in cambio della libertà dalla sua prigionia in un museo sotterraneo esaudirà un suo desiderio. Il piccolo Ken’ichi si ritrova quindi ad affrontare la montagna magica che domina il paesino in cui si trova, affrontandone le bizzarre creature che la popolano.
Il passaggio incriminato nell’opera di Taniguchi è una conversazione avvenuta poco prima della scalata al monte tra il protagonista, un suo amico e un pescatore lì nei pressi, che descrive il comportamento ambiguo della Strega Succhiona, di cui parla come “un’appassionata dei piselli dei bambini”. Nonostante il contesto della battuta (infelice, ma comunque connotata al contesto ironico della canzonatura tra adulto e bambino), il Ministero ha deciso di ritirare tempestivamente tutte le copie di La montagna magica dalle scuole elementari, suggerendo che la soglia dei lettori fosse fissata a 14 anni.
Il Ministero ha inoltre ammesso il proprio errore di valutazione, pur difendendo la scrupolosità dei criteri con cui attua le proprie scelte. La madre che ha sporto lamentela, il cui nome è tutt’ora ignoto, si ritiene soddisfatta nell’essere stata ascoltata, pur ribadendo che “non era sua intenzione stigmatizzare nessuno”.