One Piece è il manga più rappresentativo degli ultimi tempi. Ma quanto è cambiato, negli anni?
Book Live!, e-book store giapponese, ha appena decretato che One Piece è il manga più rappresentativo dell’era Heisei. L’era Heisei, stando al calendario nipponico, basato sui periodi di regno degli imperatori, è quella che parte dall’8 Gennaio 1989 e giunge ai giorni nostri definendo l’arco di tempo in cui l’imperatore Akihito ha regnato sul Sol Levante e che, probabilmente, terminerà il 30 Aprile 2019, quando è previsto che costui abdicherà.
A sancire il successo del manga creato da Eiichiro Oda sono i 5653 utenti che hanno acquistato almeno un manga da Book Live! e che hanno, pertanto, avuto accesso alla votazione avvenuta nell’interezza dell’ultimo anno. Battendo mostri sacri come Detective Conan (2°), Dragon Ball (3°), Attack on Titan (5°), Full Metal Alchemist (6°) e Naruto (7°), i voti conferiti a One Piece sono stati accompagnati da commenti come:
“Anche chi non conosce il manga ne conosce il titolo”
“Un capolavoro che possono apprezzare grandi e piccini”
Il primo volume di One Piece uscì nel ’97 ed è, quindi, da più di vent’anni che, in molti, seguono le avventure di Rufy e la sua ciurma.
Ma quanto è cambiato, One Piece, nel corso di questi anni?
ALERT: quelle che seguono sono le considerazioni di un fan che, nonostante tutto quello che leggerete, continua a guardare ogni episodio di One Piece e ne resta fedele spettatore.
Più di vent’anni cambiano qualsiasi cosa e il famosissimo manga/anime piratesco non fa eccezione. Chi lo segue dal principio o quei coraggiosi (ma fortunati) che, ancora oggi, iniziano la serie senza farsi spaventare dagli 864 episodi, possono accorgersi che One Piece, nel tempo, ha subìto la stessa mole di metamorfosi di chi, allora adolescente, si ritrova, con un paio di decenni in più, ad essere adulto ma ancora appassionato al viaggio sulla rotta maggiore. Ma “la stessa mole di metamorfosi” non significa, necessariamente, “le stesse metamorfosi”.
Arriviamo al punto…
Cerchiamo di essere chiari e di raggiungere, quanto prima, quella che vuole essere la tesi di questo articolo. Chi vi scrive, oggi, è un “ragazzo” di 32 anni che continua a guardare One Piece sperando di non lasciarci le penne prima di averne visto il finale. Ad ogni puntata, però, questo “giovane” non può fare a meno di notare quanto One Piece abbia avuto una maturazione inversamente proporzionale alla sua età. L’impressione, infatti, è che la scrittura che vi è dietro la storia dei pirati della ciurma di cappello di paglia sia stata vittima di quella stessa sindrome che colpì Benjamin Button e che sia nata matura per finire, da neonato, in un invecchiamento al contrario. La sensazione, infatti, è che, con l’avanzare dei capitoli del manga, la scrittura si stia sempre di più adeguando ad un pubblico formato dai più piccoli. A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare che non sia stato One Piece a cambiare ma la percezione di chi lo legge, ormai più in là con l’età e non più giovane e sognatore. Può darsi, ma non è solo questo.
Dove sono le differenze col passato?
Le differenze fra l’odierno One Piece e quello delle prime stagioni risiedono, principalmente, nel livello di drammaticità della narrazione. Sono ben scolpite nella memoria di ogni buon fan, infatti, le privazioni che hanno portato Sanji a non sprecare il cibo, le angherie subite da Bellmere, Nami e Nojiko dal perfido Arlong (si veda la copertina dell’articolo), i problemi di Kaya, amica d’infanzia di Usop, con la salute. In quelle prime stagioni, venivano toccati alcuni apici di drammaticità che, ancora oggi, farebbero lacrimare i più duri. Fame, malattia e morte venivano affrontati senza troppi mezzi termini e, così, la storia assumeva dimensioni più vicine alla realtà e, di conseguenza, più vicine alle emozioni di chi guarda.
Da un certo punto in poi, però, c’è stato un “cambio di rotta” che ha reso meno “reali” quelle tematiche. I personaggi hanno smesso di morire per finire, più tranquillamente, nelle mani dalla legge. Anche alcuni personaggi delle prime stagioni che in molti credevano “terra per ceci” (morti, stecchiti) sono magicamente tornati alle loro scorribande (un esempio su tutti, Crocodile). Una storia in cui non vi è il rischio estremo della morte non può che perdere di mordente e, a prova di ciò, ne sanno qualcosa la serie di Dragon Ball e il personaggio di Crilin. In quanti, ancora, temevano la morte del proprio eroe quando, ormai, si sapeva che sarebbe bastato evocare un drago o un altro drago (nel caso in cui il primo fosse stato già usato) con le magiche sette sfere?
Ma i cambiamenti non si fermano alla sola scrittura. Sin dall’inizio, Eiichiro Oda ha abituato i lettori a conoscere personaggi con fattezze animalesche. Se, da un lato, bisogna dare merito ad una non latitante fantasia, dall’altro bisogna considerare che più i personaggi che popolano l’anime acquisiscono forme lontane da quella umana e meno vi è la possibilità che ci si possa immedesimare in essi (soprattutto per chi è un po’ cresciutello). Da un certo punto in poi (dall’avvento di Chopper, potremmo dire), l’impiego di questo genere di personaggi ha subìto un’escalation che ci ha portati fino al culmine della saga di Big Mama, saga tuttora in corso, in cui ogni personaggio è stato, ormai, de-umanizzato.
Perché è cambiato?
Veniamo alle motivazioni del cambiamento. Ciò che a noi primi fan di One Piece sarebbe, egoisticamente, piaciuto è che la storia avesse continuato ad assecondare i nostri gusti e che, insieme a noi, fosse maturata. Se ciò non è accaduto, probabilmente, lo si deve al fatto che la maggior parte del pubblico più attivo di manga ed anime sia sempre tra i più giovani. Mentre i non più giovanissimi fanno il loro ingresso nel mondo del lavoro e delle difficoltà, i bambini e gli adolescenti hanno ancora molto tempo da dedicare allo svago e questo svago, consapevolmente, asseconderà sempre i gusti di questi giovani.
Un’altra ragione, invece, potrebbe essere quella commerciale. Non è un segreto che One Piece generi intorno a sè, da sempre, un indotto impressionante di guadagni fatti su action figure e gadget di ogni sorta in cui Chopper ricopre, nuovamente, un ruolo colpevolmente protagonista (spero le lettrici non chiedano la mia testa). Anche in questo caso, il pubblico che più “consuma” questi prodotti è quello dei giovanissimi.
Un’altra conseguenza di quanto Rufy & co. si dividano, ormai, tra scorribande e l’attenzione ai fatturati, si può vedere nella durata dei singoli archi narrativi. Questi, difatti, diventano sempre più lunghi. L’inseguimento di Big Mama che strilla WEDDINGU KEKI!!! che si vede nelle ultime puntate (le ultime 50? Sigh…) è qualcosa che ormai ha battuto definitivamente il più lungo cross che si sia visto in Holly e Benji. La logica dietro a questo, naturalmente, potrebbe essere quella di far vivere quanto più possibile questa gallina che, nonostante la vecchiaia, pare sia ancora in grado di produrre le sue proverbiali uova d’oro.
Eppure siamo ancora qui…
Eppure, eccoci qui, a parlare di One Piece, a desiderare ardentemente di riuscire a vederne il finale o che, quantomeno, i nostri figli ce lo vengano a raccontare al cimitero. Sì, perché la domanda più importante tra quelle poste sinora è, senza ombra di dubbio, “perché continui a guardarlo?”. Sarà solo la curiosità di vedere come va a finire? Sarà perché, nella sua lunga durata, è il trait d’union tra l’io attuale e quello dell’infanzia, età a cui è sempre bello tornare, almeno una volta a settimana? O sarà, banalmente, per poter dire “Ecco! Ve l’avevo detto!” quando si capirà ciò che tutti, in fondo, già sappiamo, ovvero che lo One Piece (o il One Piece?) altro non è che il viaggio stesso alla ricerca del tesoro…