In lingua giapponese, il termine “hentai“, fra le varie sfumature di significato, assume principalmente quello di “perverso”. Per questo motivo, è utilizzato anche per riferirsi a quelle produzioni, animate o a fumetti, che rappresentano delle fantasie sessuali che, altrimenti, sarebbe difficile, se non impossibile, vivere o vedere nella realtà. Inutile dire che, a discrezione degli autori di tali produzioni, si può assistere a rappresentazioni visive di scene assurde, grottesche e, alcune volte, al limite della decenza.
Fatta questa doverosa premessa per contestualizzare l’articolo e per far prendere le distanze, eventualmente, da coloro che potessero avere difficoltà a trattare l’argomento, ci si può concentrare su alcune riflessioni inerenti al mondo dell’hentai ed alle tipologie di censura che vengono ad esso applicate. Difatti, soprattutto in Giappone, la suddetta “perversione” viene eticamente combattuta da una censura che, a seconda delle casistiche, assume forme ed invasività differenti, in mancanza di linee guida ben definite dalle autorità nipponiche. Uno dei pochi punti di riferimento ufficiali è nell’articolo 21 della costituzione giapponese che sancisce una libertà di espressione che, però, è sempre oggetto di nuove discussioni:
“Articolo 21: Le libertà di riunione, di associazione, di parola e di stampa, e tutte le altre forme di espressione sono garantite. Non sarà mantenuta alcuna censura, né sarà violato il segreto di qualsiasi mezzo di comunicazione.“
Poniamo il caso, a livello puramente esemplare, che un “amico” si trovi, in maniera fortuita, a sfogliare le pagine di alcuni fumetti hentai. Non passerà molto tempo prima che si possa rendere conto che sta leggendo dei fumetti pornografici così come, si può supporre che, voltando pagina dopo pagina, ci sarà un pensiero martellante e ripetitivo che non gli darà pace. Perché, da fumetto a fumetto, le parti intime dei personaggi sono censurate in modo così diverso? Perché in uno c’è un grosso rettangolo nero a coprire tutte le vergogne mentre, in un altro, ce n’è uno di risibili dimensioni e pressoché inutile ai fini censuristici? Perché, in alcuni, le “zone calde” sono rese come evanescenti mentre, in altri, pixelose?
Oggi, finalmente, si può dare una risposta a queste domande che rubano il sonno. A fornire la soluzione ai nostri rompicapo è Jacob Grady, CEO e fondatore di FAKKU (cosa mai vorrà dire?), editore leader nel settore degli hentai in inglese.
LA SPIEGAZIONE
A volte, però, a domande di importanza esistenziale non corrispondono risposte altrettanto trascendentali. La differenziazione della censura, infatti, avviene principalmente sulla base di DOVE il prodotto hentai sarà distribuito e delle regole che ne derivano. Di base, l’hentai nasce senza censura alcuna, la quale verrà applicata, in seguito, in modo conforme alla situazione in cui sarà distribuito. Naturalmente, il “dove” assume proporzioni globali quando si parla di una distribuzione transnazionale ma anche locali quando si parla, ad esempio, di fiere. Il Doujinshi, ad esempio, è una sottocategoria dell’hentai che riguarda l’autoproduzione. Non essendo distribuiti su larga scala, i doujinshi non hanno la stessa pressione censoria e sono presentati, spesso, direttamente dall’autore che li realizza. Di conseguenza, questi non dovrà far altro che adattare la censura ai dettami del festival in cui espone e, qualora non esponesse in un festival, potrà seguire le regole che preferisce.
A questo punto, tutti i dubbi possono esser fugati e Morfeo può restituire, a noi tutti, il riposo notturno ma, nella remota ipotesi in cui una bassissima percentuale si stesse ancora chiedendo, ad esempio,
Come già detto, gli hentai nascono senza censura ed è in base a dove vanno a finire che subiscono l’indelicato trattamento con rettangolini o pixel. Va da sè che, fra le varie destinazioni, queste edizioni possono arrivare ad essere distribuite da editori, come il già citato FAKKU, che non applicano censura.